Undici anni fa, la scelta più difficile: rinunciare a una bambina nata da un amore finito e subito adottata dal musicista Seal. Sei anni fa, la scoperta della paternità con Nathan Falco e la moglie Elisabetta Gregoraci. Prima e dopo, una vita iniziata in salita, in campagna, e proseguita a champagne da 70 mila euro a bottiglia. L’imprenditore si racconta come mai, a partire dall’amicizia con Donald Trump, fino al ritocchino al viso che, sì, qui lo ammette, c’è stato
Mi dà un’immagine, una sola, che racconti il suo rapporto con Donald Trump?
«Io e lui e nel suo ufficio di New York che parliamo di tutto: di politica, di Formula Uno… Ridiamo, telefoniamo a Bernie Ecclestone. Io ho mal di schiena. Donald prende una sedia e mi fa stendere le gambe».
È la confidenza di chi si conosce da una vita.
«Forse dai primi anni ’90. Fu per caso, a New York. Da allora, ci vediamo ogni volta che torno in America. Certe sere, abbiamo fatto lunghe passeggiate a Parigi, chiacchierando, mentre andavamo a Les Bains Douches».
Trump ama i locali notturni?
«Cenavamo lì perché era divertente e tutto il mondo era lì».
Flavio Briatore, 66 anni, è l’italiano che conosce meglio il candidato repubblicano alla Casa Bianca e da ben prima che entrambi si esibissero da boss nel reality show The Apprentice, uno negli Stati Uniti, l’altro in Italia. L’intervista a Briatore, in un cinque stelle di Milano, parte da Trump e scivola altrove… Gli anni lontani da Re Mida della Formula Uno, quelli attuali da re del lusso e dei locali notturni. Le donne, Heidi Klum, Naomi Campbell. La moglie, Elisabetta Gregoraci. L’infanzia campestre a Montaldo di Mondovì, provincia di Cuneo, le bottiglie di Matusalem da 70 mila euro di oggi. La dieta che gli ha fatto perdere 15 chili, il ritocchino a cui in effetti ha ceduto. Il figlio, Nathan Falco, che gli ha cambiato la vita. E la figlia, segreta ai più, che non ha mai riconosciuto e della quale, qui, racconta per la prima volta. Ma siamo nei giorni della convention repubblicana di Cleveland e la conversazione parte dall’amico Donald.
Trump, fra proclami, gaffe, capelli arancioni, sembra una macchietta. Perché gli americani lo votano?
«Perché parla alla pancia. La gente non ne può più dei politici professionisti e Donald ha toccato corde sensibili, tipo l’invasione di massa dei messicani, il terrorismo. E in lui gli elettori possono identificarsi: ha fatto bene, ha fatto male, ha fatto fortuna, ha fatto fallimento».
Però persino il suo partito l’ha accusato di razzismo.
«E lui ha fatto fuori 16 candidati fortissimi, fra cui Jeb Bush che non è una pippa. L’America non è New York: quando vai in New Mexico o nell’Ohio, in pochissimi hanno il passaporto e a loro non interessano l’Europa o l’Asia, loro vogliono essere protetti in patria. Gli americani sono isolazionisti perché hanno tutto: le montagne, il mare… Il resto del mondo non esiste. Io ho vissuto lì 17 anni e non ho mai sentito il bisogno di venire a sciare in Europa».
L’uomo delle promesse e delle minacce iperboliche, se mai sarà presidente, sarà più pacato?
«Un conto è prendere i voti, un altro essere il presidente di tutti e lui lo sa».
Non alzerà un muro fra gli Stati Uniti e il Messico, non sospenderà «l’immigrazione a rischio»?
«Non lo farà mai. Non per intero. Creerà un team fortissimo e sarà un grande presidente pacifista».
Vi siete confrontati in questa campagna elettorale?
«Ogni tanto, gli mando articoli dei giornali europei, con una nota. Quando ha twittato la frase “Meglio un giorno da leone che cento da pecora” e tutti hanno scritto che citava Benito Mussolini, l’ho avvisato che non era del duce, ma di un soldato che l’aveva scritta nel 1918».
L’intellighentia proprio non si spiega come sia possibile che Trump piaccia, nonostante le sue gaffe.
«La scemenzia, più che l’intellighenzia, non capisce che Hillary è lontana anni luce dalla gente normale, mentre Trump si fa capire al volo».
Però Hillary sa di cosa parla. Non direbbe mai che la Scozia è felice della Brexit.
«Gli americani che sanno dov’è la Scozia sono forse il due per cento. Il resto si riconosce in Trump».
Che cosa manca al suo amico per vincere?
«Soldi. La differenza con quello che raccoglie Hillary Clinton è bestiale, tipo 40 milioni di dollari al mese contro i tre di Donald. Ora il nostro comune amico Tom Barrack lo sta aiutando a fare fundraising».
Barack Obama ha detto: «Non vincerà, la politica non è un reality».
«Decideranno gli americani. Fossi in Obama, non sarei così sicuro».
Trump ha fatto 14 edizioni di «The Apprentice», lei due. Che consigli le ha dato?
«Tanti. Ci vedevamo sempre. Fu lui a dire che in Italia dovevo farlo io o nessun altro. Facevamo insieme le finali e lui indovinava da subito il vincitore».
Quando parla di donne con gli amici, Trump fa battute sessiste?
«Ha molto rispetto e poi, con le donne, ha avuto solo rapporti seri e lunghi, ne avrà avute cinque sei, forse otto. Non ha mai fatto stragi».
Che First Lady sarebbe Melania?
«È intelligente, dolce, gli è vicina e complice. Sarà la più bella First Lady d’America».
Qual è il leader italiano con cui, da presidente, Trump andrebbe più d’accordo? Silvio Berlusconi, Beppe Grillo, Matteo Renzi?
«Tutti gli somigliano perché sanno parlare allo stomaco degli elettori. Ma è indifferente se ci sarà l’uno o l’altro: in America noi italiani non siamo così considerati».
Lei non vota in Italia. Comunque, un tempo diceva di sentirsi di sinistra. Poi si è convertito ai Cinque Stelle. Non è troppo ricco per essere in target?
«Non è che devi essere povero per votare i grillini».
Che cosa ha fatto Renzi per deluderla?
«Nonostante l’entusiasmo, non avendo possibilità di incidere, a causa delle troppe regole, della burocrazia, non poteva farcela».
Il Jobs act ha cambiato i suoi bilanci in Italia?
«No, anche perché qui abbiamo solo contratti stagionali».
Lei è amico di Silvio Berlusconi. Lo consiglia per un bis del Patto del Nazareno con Renzi o per un’alleanza a destra?
«Silvio ha 80 anni, gli dico che più che allearsi a destra o sinistra dovrebbe pensare a se stesso e alla sua salute. Famiglia, nipoti, figli».
L’ha sentito quando era in ospedale?
«Lo sento sempre. Presto lo vedrò Sardegna».
Nel 2012, venne in Kenya da lei due volte di seguito, in un periodo in cui era molto amareggiato dai processi. Perché proprio lì? Perché proprio da lei?
«Lì sei in un’oasi fuori da tutto, sia al Lion dov’è stato lui, sia al Billionaire resort. Eravamo solo noi, gli amici che hai vicino nel momento di bisogno. Era una fase di riflessione, di grande tristezza».
Si dice che lei sia una delle poche persone di cui Berlusconi segua i consigli.
«Abbiamo fatto ragionamenti che si sono avverati. Con lui ho un rapporto super perché non ho mai chiesto favori e non ne ho mai avuti. Gli dico quello che penso, senza filtri, come una persona a cui vuoi bene. Sono il solo».
Da chi e da che cosa l’ha messo in guardia?
«Da tutti i mostri che ha creato e poi l’hanno tradito. Da Fini a Casini ad Alfano, Schifani…».
Lei è così amico anche di Grillo?
«Lo vedo sovente in Kenya e in Sardegna, ma non abbiamo rapporti».
Billionaire e Twiga sono diventati un piccolo impero globale, fra Porto Cervo, Dubai, Montecarlo, Forte dei Marmi, il Kenya… E poi ci sono i vestiti che produce, le sue celebri babbucce. I suoi clienti sono un popolo, come sono fatti?
«Come lei. Un drink al Billionaire costa 15 euro, non devi essere milionario per venire da noi. Cercano servizio, intrattenimento, selezione, ma non nel senso che si aspettano di trovarsi fra ricchi. Il mix di un locale è come quello di un party a casa: ci vuole la ballerina, il vescovo, l’imprenditore, l’avvocato… In due mesi, il Billionaire Mansion Dubai, appena aperto, è stato eletto locale più cool e ristorante numero uno del Paese. Lì abbiamo 250 dipendenti e più di cento sono italiani. Cento sono italiani anche a Montecarlo. Di dipendenti ne ho 2.500: 1.800 solo in Kenya. A Nairobi abbiamo casinò e hotel che funzionano, ma la costa soffre e lì ho tenuto comunque i dipendenti anche per motivi di sicurezza, per evitare furti piccoli e grandi».
La Sardegna è finita, come si va dicendo da anni?
«Noi, nel 2016 siamo stati in perdita, ma abbiamo ancora 140 dipendenti. Montecarlo e Dubai vanno molto bene e compensiamo».
Che cosa non va in Sardegna?
«I sardi non si rendono conto che è un’isola. I voli Meridiana hanno il monopolio e ci sono sempre scioperi. Arrivi in barca e mancano i servizi… I sardi sono riusciti a far esasperare prima l’Aga Khan, poi Tom Barrack, ora gli emiri del Qatar, che l’anno scorso avevano creato un villaggio spettacolare di Harrods sulla spianata di cemento del porto. Il Comune di Porto Cervo l’ha bloccato, loro hanno fatto ricorso al Tar e hanno vinto. Quest’anno, di nuovo: volevano riaprire e il Comune si è opposto. I qatarini hanno rinunciato e Harrods non c’è più. E comunque, uno arriva e non c’è una promenade per lo jogging o una pista ciclabile, lasci l’auto e per arrivare al mare devi fare mezz’ora a piedi su strade sterrate fra la polvere, sulle spiagge libere non c’è un bagno pubblico».
Però arrivano le grandi barche. Come il nuovo Dilbar da 156 metri del russo Alisher Usmanov.
«Usmanov, in Sardegna, praticamente ci vive. Di yacht top ce ne sono pochissimi da quando hanno messo la tassa sul lusso e poi l’hanno ritirata. E resta l’Iva sui charter, che in Italia è al 22 per cento, in Grecia al sei. Chi noleggia una barca per un milione, naviga in Grecia e risparmia 160 mila euro».
E tuttavia, oltre che a Londra, in questa Italia, lei sta per aprire un Twiga a Otranto, profonda Puglia.
«Solo perché ho trovato un gruppo di giovani imprenditori in gamba, tutti di 25-26 anni. Apriremo nel 2017, sarà un successo».
A proposito di Twiga. Quest’estate, la sua socia Daniela Santanché è fissa a Forte dei Marmi con il nuovo fidanzato, il principe Dimitri d’Asburgo Lorena.
«Lui è un bel ragazzo, piacevole. Daniela aveva bisogno di emozioni: lavora tanto, ha un’azienda che manda avanti da sola».
Che cos’è quel sorriso?
«Pensavo che mediaticamente averli in spiaggia porta pubblicità…».
Il conto più salato pagato in un suo locale è quello da 250 mila euro dei calciatori Aleksandr Kokorin e Pavel Mamaev dopo la disfatta agli ultimi Europei?
«I due, poverini, non hanno bevuto, ma dai tavoli vicini, avendoli riconosciuti, mandavano champagne in segno di rispetto. Il conto più alto che ricordi è stato da 350 mila euro».
Come si possono spendere 350 mila euro in una sera?
«Fai presto, con bottiglie di champagne Matusalem da 60-70mila euro».
Il 14 giugno, ha festeggiato l’ottavo anniversario di matrimonio. Che cosa ha aggiunto Elisabetta alla sua vita?
«Più serenità. E un bimbo che adoriamo, una famiglia che non avevo».
Prima, cambiava donne di continuo. È stato con Naomi, con Heidi… Che cos’ha Elisabetta per averla convinta a fermarsi?
«È una donna solare, e oggi è anche più matura. Ed era il momento giusto: ho sempre avuto una vita gipsy, ma alla fine ero solo. Elisabetta ha portato ordine, ha fatto pulizia. Soprattutto, ha saputo starmi vicino quando sono stato male, lì ho capito che era la persona giusta».
Un tumore al rene, scoperto durante un check-up a New York.
«E avevo già due stent al cuore. Mi hanno operato subito, l’hanno preso in tempo, senza chemio».
Da allora, cosa è cambiato?
«Tutto. I ritmi di lavoro sono rallentati, non faccio più cene di lavoro. Ho smesso con le mondanità superflue: niente compleanni, matrimoni, gala di beneficenza».
Nove mesi fa, è mancato suo fratello minore Walter, che era il suo opposto: era rimasto a Cuneo, faceva il contadino, non ha mai preso un aereo. Lei come l’ha vissuta?
«Ho pensato che faceva la vita che tutti i medici raccomandano, il contrario della mia. Si alzava alle sei, andava a letto alle nove, lavorava nei campi, con gli ulivi, e produceva un olio straordinario che gli compravo quasi tutto io. È tornato a casa alle sette di sera, ha fatto la doccia, si è seduto sul divano ed è morto. Un infarto fulminante. Ora, la mattina mi faccio la barba, mi guardo allo specchio e sento che siamo fragili».
Teme mai di non veder crescere abbastanza a lungo suo figlio, che ha solo sei anni?
«È nato quando ho avuto l’età giusta per godermelo. Prima, ero troppo assorbito dal lavoro. Ora posso seguirlo ed è un bene perché è un piccolo boss. Appena ti giri, vuole comandare lui».
Si chiede se farà in tempo a essere nonno?
«Non credo, a meno che Nathan non si riveli un fenomeno».
Pare che Elisabetta la rimproveri perché lei parla al bambino come a un ragazzo di 28 anni. Che cosa vi dite?
«Quando ho aperto a Dubai, era giù con me, e mi ha chiesto quante persone ci lavoravano, quante ci avrebbero lavorato. Abbiamo discusso se era opportuno chiudere durante il Ramadan».
A sei anni?
«Proprio perché gli parlo come a un adulto, è intelligentissimo e va bene a scuola, al contrario di me».
Suo padre, da maestro elementare, in quinta, la bocciò.
«Vero. Falco, invece, ha finito la prima e legge e scrive in inglese e francese, non ancora in italiano».
Lei viene da una famiglia semplice, carne una volta a settimana, ha raccontato al «Corriere». Come insegna a suo figlio che la vita non è fatta solo di aerei privati e yacht?
«A Montecarlo, è difficile: l’accompagno a scuola con la Porche Cayenne e la mia è la macchina più modesta. Il suo bagno di umiltà lo vive in Kenya, in visita a orfanotrofi e scuole».
Funziona?
«Direi di sì, rinuncia anche al gelato pur di non spendere. Fa i regalini di compleanno agli amici con la paghetta. Cose da dieci o venti euro. A volte, mi dice: “Papà, con questo compagno non siamo propri amici, magari non vado, risparmio”».
Quanto prende di paghetta?
«Duecento euro al mese. Ma ha compleanni ogni minuto. L’importante è che abbia capito che io i soldi li guadagno col lavoro».
Lei ha anche una figlia di undici anni da Heidi Klum?
«Sì, ma ora è la figlia di suo marito Seal».
In che senso?
«Leni è la mia figlia naturale, ma noi tre abbiamo serenamente convenuto che aveva più senso che la adottasse lui, perché un bambino deve crescere in una famiglia. Però la frequento e io, Seal e Heidi abbiamo un rapporto eccezionale».
Perché non l’ha riconosciuta alla nascita?
«È nata quando ci eravamo già lasciati. Heidi viveva a Los Angeles, io a Londra, la distanza era diventata incolmabile. Potevamo sentirci al telefono due ore al giorno, ma non bastava e un neonato deve stare con la madre. Poi, Heidi si è messa con Seal e lui l’ha cresciuta».
E ora che con Nathan ha scoperto le gioie della paternità non le manca questa bambina?
«È difficile sentire la mancanza di un figlio che non hai mai vissuto. E so che non è una figlia abbandonata. Leni è la famiglia di Seal, Nathan la mia».
Quando Heidi era incinta di pochi mesi, lei fu paparazzato mentre baciava un’altra. È stato questo il problema?
«Con un teleobiettivo a tre chilometri, qualunque saluto sembra un bacio».
Nathan Falco e Leni sanno di essere fratelli?
«Leni sa che io sono il suo papà naturale ed è una bambina molto intelligente. Falco non sa nulla, per ora».
Pesco dal suo Instagram: «Una delle foto a cui sono più affezionato», scrive. È lei con Nelson Mandela e Naomi Campbell.
«La prima volta che ho visto Mandela, a un lunch a Johannesburg, è entrato, alto due metri, occhi azzurri, intenso: la stanza è diventata piccola. È l’uomo che mi ha colpito più di chiunque altro».
E Naomi? Naomi che tappezzò Mosca di manifesti con su scritto «Happy Birthday F. B.», Naomi con le vostre liti che riempivano le cronache rosa?
«Se avessimo litigato come scrivevano, non saremmo ancora amici».
Perché se lei ha una Spa in Kenya è andato a dimagrire dal dottor Alberico Lemme, contestato perché è solo farmacista?
«Perché il Kenya è lontano, Lemme mi ha dato una dieta, l’ho seguita e ho perso 15 chili. Poi lui è andato in tv da Barbara D’Urso e ci ha marciato parecchio».
Ha detto che l’ha fatta dimagrire a bomboloni.
«Bomboloni mai, ma stamattina ho fatto colazione con fragole e panna».
Però qualcosa al viso l’ha fatto…
«Che cosa?».
Un lifting, un ritocco?
«Ero grasso, avevo il doppiomento».
Poi si è sfinato. E si è dato una tiratina.
«Appena appena, ma non è chirurgia: mi hanno messo un filo sul contorno viso, come una fascia da tennista sottopelle che tira su i tessuti. Non ho neanche una cicatrice. È medicina estetica».
Le manca la Formula Uno?
«Mi sono divertito. Ho vinto sette campionati del mondo. Ma prima di lavorarci, neanche la guardavo».
Ha incontrato Michael Schumacher dopo l’incidente che l’ha lasciato invalido?
«No, preferisco ricordarlo com’era: i momenti che rideva, le vittorie, tutto. Abbiamo fatto cinque anni spettacolari. Abbiamo vinto tre mondiali».
Lo scoprì lei. Come capì che era forte?
«Se hai la fortuna di vedere uno così per primo, te ne accorgi subito. E noi eravamo un team povero e disperato, non potevamo permetterci campioni già fatti. Fu lo stesso anche con Fernando Alonso».
C’è un nuovo Schumacher in giro?
«C’è Max Verstappen. Molto molto bravo. Il papà correva per me».
Perché la Ferrari, andato via Luca di Montezemolo, non è decollata?
«Perché sono cambiati i piloti, ma se non hai la macchina non vinci».
Lei sapeva fin da bambino che avrebbe lasciato il paesello per fare fortuna?
«Da Montaldo, già Cuneo sembrava New York. Ci volevano quattro ore di corriera. Però, sapevo che me ne sarei andato, non avevo paura».
Oggi, di che cosa paura?
«Non della morte, ma delle malattie. Faccio un check-up ogni sei mesi. L’unica cosa a cui servono i soldi è averli per pagare i migliori dottori al mondo».
di Candida Morvillo, Corriere della Sera