L’attrice nel ruolo della soprano Florence Foster Jenkins: “Cantava male ma piaceva per l’entusiamo e l’umanità”
Come si fa a sposare un nuovo progetto quando sei stata la protagonista del Cacciatore e di Manhattan, di La scelta di Sofia e di La mia Africa, Il diavolo veste Prada e The Iron Lady? Come si fa dopo avere vinto tre Oscar e aver accumulato tante nomination (diciannove) che il tuo nome non viene «annunciato» a gennaio per la Statuetta solamente negli anni in cui non hai lavorato?
Quando Stephen Frears (My Beautiful Laundrette, Le relazioni pericolose, The Queen, Philomena) si è presentato da lei con il copione di Florence Foster Jenkins, Meryl Streep non ha avuto dubbi. Basato su una storia vera, quella di una ricca newyorchese celebre negli anni della Seconda guerra mondiale perché cantava Verdi e Mozart così male e con tanto entusiasmo da diventare uno spettacolo da non perdere e riempiendo perfino la Carnegie Hall. Una storia assurda, di amore, passione, tenerezza e commedia.
Non si può dire che Florence Foster Jenkins avesse talento. Eppure il pubblico accorreva ai suoi concerti. Perché?
«In quel periodo Florence fece sensazione non solo perché cantava così male: abbiamo tutti persone in famiglia che cantano male e quando lo fanno lasciamo la stanza. Ma lei lo faceva con così tanta speranza e così tanta gioia che la gente amava ascoltarla. Amava la gioia nella sua voce e quando inevitabilmente finiva fuori strada amava anche i suoi errori. Ed è questo che mi ha attratto, la sua grande umanità».
Che cosa dice a un giovane che vuole fare l’attore e che non ha talento?
«Penso a Jack Nicholson che una volta mi disse di non sputare mai sulla felicità di un altro. Riceviamo tutti molti no dal mondo. E penso sia meglio andare avanti e magari sbattere contro un muro che svegliarti a 50 anni e realizzare che non ci hai nemmeno provato. E il mio personaggio può affermare: “Possono dire quello che gli pare su di me, ma alla fine ho fatto ciò che amavo”. E se penso a questo penso che sono fortunata, perché ho trovato ciò che amo e l’ho trovato così presto nella vita che ne ho fatto il mio lavoro. Una bella fortuna».
Terrorismo. Divisioni razziali. Politici incompetenti. È preoccupata?
«Sono preoccupata ma sono anche ottimista. Credo nel meglio delle persone. Come dice Leonard Cohen nella celebre canzone Anthem: «In tutto c’è una fessura. E di lì passa la luce». Ecco, la penso così anche io».
E Donald Trump? Lo conosce?
«Ero a una cena con lui molto tempo fa e volendo posso fare una grande imitazione di lui. Nooo, non adesso! E comunque spero che vinca Hillary».
Meryl, si fa il suo nome e tutti sono o in ammirazione o intimiditi.
«Bene!».
Chi intimidisce Lei? Chi la rende nervosa?
«Un sacco di gente, ma non faccio nomi perché che cosa succede se poi li incontro? Ma mi perdo di fronte ai grandi musicisti, ad alcuni politici e a tutti quelli che hanno come un’aura attorno a loro. Non so se divento rossa, ma quando li incontro cerco di pretendere che per me non significano niente».
Sembra in ottima forma, Meryl. Come mantiene la sua vitalità?
«Cerco di nuotare ogni giorno, un miglio al giorno. Cerco di superare ogni volta un po’ me stessa, di forzare la mia volontà, ed è una sensazione che mi fa stare bene. Siamo fortunati quando c’è la salute, ma non è per sempre e se c’è dobbiamo esserne grati».
E la pelle? L’ha ereditata?
«Mia mamma aveva una bellissima pelle, con le rughe. Anche io, ma che ce ne importa?».
La Stampa