LA BELLA «VITA!» DI ARISA

LA BELLA «VITA!» DI ARISA

Di recente si è sfogata perché si sente esclusa. Ma Arisa non vuole più arrabbiarsi. Perché «il nostro corpo deve essere sempre alcalinizzato». Non avete capito? Aspettate di ascoltare il suo saluto, quando la incontrerete per strada

ArisaSoprannomi di Rosalba Pippa in arte Arisa: «Ros, bocconcino e anche rompicoglioni perché un po’ rompicoglioni sul lavoro sono. Un disco è come un quadro e a me piacciono le cose fatte bene. Se vedo passione e gente che ci mette l’anima, con gli errori altrui sono indulgente, se invece capisco che dominano sciatteria e pressappochismo mi incazzo».
Luglio milanese. Caldo sahariano, rumori di traffico lontano e riflessioni sul suo quinto album, Guardando il cielo, da un ufficio all’undicesimo piano della Warner: «Il disco mi piace e mi soddisfa. Anche se c’è sempre qualcosa da migliorare e avrei desiderato affinarlo ancora, sento che ha senso. Mi rispecchia. Mi somiglia».
Trentaquattro anni tra un mese, natali liguri («Quasi per caso, sono scesa in Basilicata che avevo 6 giorni e ci sono rimasta fino alla maggiore età»), Arisa affronta l’estate tra un concerto e un viaggio messicano in attesa di tornare da giudice a X Factor: «Pensavo non sarebbe più successo, ma già so che mi divertirò».
Dal talent mancava da quattro anni. «Con Fedez, Manuel Agnelli e Álvaro Soler sarò in buona compagnia, l’importante è che non ci siano troppe aspettative su di me. Quando succede vado regolarmente in tilt».
Da adolescente questi «problemi» non li aveva. «Prendevo la corriera all’alba e dal piccolo paese in cui vivevo con i miei raggiungevo Potenza. Ho fatto mille lavoretti e ho guadagnato i miei primi soldi da estetista. Avevo i miei riti, merenda e tè freddo sul solito gradino e poi via per appartamenti a curare unghie, mani e piedi. Nel fine settimana, senza chiedere una lira ai miei, raggiungevo il mio ragazzo a Roma. Anni meravigliosi come è meravigliosa la Basilicata che certo l’Altare della Patria in Piazza Venezia non ce l’ha, ma ha tante altre cose bellissime».
Le piace l’Altare della Patria, con quei soldati immobili a custodire simboli?
«Certo. E sono sicura che anche quei soldati non siano poi così infelici. Lavorano all’aperto ed è come se avessero una finestra davanti agli occhi. Il paesaggio cambia in continuazione. È sempre meglio che stare chiusi in ufficio senza aria e con le luci artificiali. Io penso che si possa trovare la felicità in qualunque mansione, e che se quella felicità non è immediatamente visibile sta a noi impegnarci per trovarla. È un dovere. Una missione. L’unica cosa che non si può fare è rimanere fermi».
Lei dove cerca la sua felicità?
«Provo a dare il meglio di me stessa. Ho dimostrato alcune cose, ma so che posso fare molto di più».
Ha ansia di migliorare?
«Ho ansia di imparare, di vivere al meglio il viaggio perché la vita è un viaggio. Per strada trovi alcune cose e, se hai fantasia, con quelle cose vuoi giocare, montandole e smontandole fino a quando non trovi la migliore combinazione possibile».
Lo chiamerebbe perfezionismo?
«Non è perfezionismo, ma è voler vivere la vita fino in fondo. Sa cosa faccio quando saluto una persona?».
Che cosa fa?
«Gli dico “Vita!”».
E la persona in questione?
«Se è gentile e capisce risponde “grazie”».
E se non capisce?
«Peggio per lui. Non tutto è per tutti. Dici delle cose a tante persone e sai già che la metà ti capirà e l’altra penserà che tu sia scemo. Non si può piacere a tutti e non si può essere compresi da chiunque, però bisogna continuare per la propria strada. Io ti incontro e ti auguro “vita” nell’accezione più bella che esista, se non lo capisci è affar tuo, non mio».
E lei non si preoccupa?
«Mi interessa arrivare a tutti, ma esistono persone con cui mi trovo bene e persone con cui sono a disagio. Non giudico nessuno, ma mi accorgo che la gente vive in una condizione di rigidità e mette tra la sua anima e il mondo esterno un muro. Io il muro voglio romperlo. Dalla gabbia voglio uscire».
Arisa l’anomala. L’inclassificabile. È un gioco? Una parte?
«È una scelta. Scelgo di essere me stessa».
Dice che le piacerebbe lavorare più tempo su un disco, ma si circonda di mille impegni.
«Non c’è sempre una ragione per gli eventi che accadono e i fatti non sono sempre concatenati. Nella vita vogliamo alcune cose e poi ne vogliamo anche altre apparentemente incongruenti. Non tutto si può spiegare. A iniziare dalle contraddizioni».
Fare televisione è una contraddizione?
«La questione è semplice: ieri si vendevano i dischi e oggi i dischi non si vendono più. La Tv mi piace, ma non voglio diventare un personaggio esclusivamente televisivo. Alla Tv voglio dare una parte della mia vita, una parte piccola. Il resto voglio dedicarlo ad arte e musica».
Che fa quando non suona?
«Dormo poco, se esco torno presto e vado sempre a letto tardi. Suono, scrivo, e la notte passa così. Scrivo sui muri perché è più bello: non perdi niente, rimane tutto lì. Ho molte cose da fare. Cucinare, disegnare, riparare una bambola».
Possiede molte bambole?
«Ne ho qualcuna di quando ero bambina e qualcuna comprata dopo, non più molte comunque».
Pensa spesso a quando era bambina?
«Lo faccio per indagare sugli eventi, il momento più reale che viviamo è dai tre ai sei anni. Cerco di ricordarmi com’ero allora, come mi vedevo, cosa desideravo essere, quali erano le cose che mi piacevano. Il passato mi serve come specchio».
E che cosa vede nello specchio?
«Una bambina di sei anni che canta, disegna e mangia molta frutta, molte ciliegie che coglie direttamente dall’albero. Abitavo su una collina, ero figlia unica, con mio cugino suonavamo battendo un bastone sulle ruote del trattore».
Qui a Milano il trattore non c’è.
«Ma io a Milano sto benissimo. Penso che nella vita si possa scegliere. Se non ti sta bene una cosa, puoi sempre andartene. Adesso sto bene, prima non avevo trovato il mio spazio».
«Se tu mi chiedi cosa faccio in questa vita, amico mio / La sola cosa che so dirti è non lo so nemmeno io». È l’incipit di Guardando il cielo.
«Siamo nell’epoca in cui bisogna fare tutto, l’artista che sta a casa sua e poi riemerge per la folla non esiste più. Io mi sbatto. Esco presto. Cerco di fare molte cose e non per un mero senso del guadagno o della materialità».
E per che cosa?
«Per fare tutto ciò che mi fa stare bene. Per lavorare. Per potermi meritare l’affetto degli altri, per poter spendere cento euro senza sentirmi in colpa, per guadagnare il sonno come faceva mio padre».
In che senso?
«Se gli guarda le rughe, i solchi sulle mani o le borse sotto gli occhi, capisce che ha lavorato per tutta la vita. Io me lo ricordo mio padre che si addormentava felice dopo ore di fatica. Felice perché aveva fatto il proprio dovere. C’è gente tosta, orgogliosa e attaccata alle proprie radici nella mia famiglia. Quando me lo sono potuto permettere e gli ho proposto di raggiungermi a Milano hanno gentilmente detto “rimaniamo qui”. Lui fa il vino più buono del mondo, lei cucina meglio di Carlo Cracco».
Non più di un mese fa, per non essere stata invitata ai Wind Music Awards e al Radio ItaliaLive, lei si è sfogata su Facebook evocando Mia Martini.
«Non mi farete fare la stessa fine».
Si è pentita?
«Voglio farmi vedere, esibirmi, essere con gli altri artisti, partecipare alla vita musicale del Paese. Forse è vanità, non lo so. Ma so che la mia vita non è una passeggiata e che impegnandomi così tanto voglio poter vedere i frutti di quell’impegno. Per un certo periodo mi sono sentita molto vicino a Mia Martini. Non come artista perché lei è irraggiungibile, ma sotto l’aspetto dell’esclusione perché anche lei, come me, non era ovunque e avrebbe meritato di appartenere di più al pubblico. Io non mi sono pentita di quella frase, ma se ho sbagliato e se qualcuno si è sentito offeso dal paragone me ne scuso. Pazienza».
Pazienza?
«Abbiamo politici che tutti i giorni promettono cose incredibili e poi se le rimangiano. Non mi pare che il mio post sia poi così grave».
Ci sono cose che la fanno arrabbiare?
«Non mi arrabbio più da una vita, se capisco che sta per accadere me ne vado. Non sopporto più l’acidino che sale dallo stomaco. Noi moriamo per acidificazione, lo sapeva lei?».
Veramente no.
«Infatti il nostro corpo deve essere sempre alcalinizzato, me l’ha detto Gaetano Morbioli, un regista di video».
E lei ci crede?
«Certo che ci credo».
E all’affetto di chi le chiede un autografo per strada crede?
«Dipende. Se la persona mi piace e sento una vibrazione buona, mi fermo. Altrimenti svicolo».
Potrebbe sbagliare sensazione.
«Potrei, ma almeno non mi faccio violenza».

Malcom Pagani, Vanity Fair

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