In concorso a Cannes l’anno passato, La foresta dei sogni è un racconto esoterico dove Arthur Brennan, americano aspirante suicida, si perde nell’immensa foresta giapponese di Aokigahara, presso il monte Fuji. Qui incontra Ken Watanabe, che forse è un uomo smarrito come lui, forse un demone delle selve e, accantonato provvisoriamente il suo proposito, decide di aiutarlo. Narrato come un survival, il film di Van Sant conferma il bipolarismo del suo autore: a volte essenziale fino alla severità (Elephant, Palma d’Oro 2003), altre volte (Scoprendo Forrester) incline a scivolare nel sentimentalismo fin quasi alla sdolcinatura. Qui il regista, al suo minimo storico, si smarrisce nel bosco peggio di Pollicino; né lascia sassolini alle spalle per ritrovare la strada. Il racconto al presente è alternato a continui flashback sulla infelice vita di coppia del protagonista; le conversazioni sulla vita e la morte sono da bar e McConaughey, che se ben sorvegliato sa essere bravo, indulge al peggiore esibizionismo.
La Repubblica