GIAN MARCO TOGNAZZI: «IO, MIO PADRE E IL VINO»

GIAN MARCO TOGNAZZI: «IO, MIO PADRE E IL VINO»

L’amore per la verità gliel’ha insegnato Ugo, il padre il cui ricordo lo commuove ancora. E c’è un’altra lezione che il «non solo attore» Gian Marco Tognazzi, di ritorno con un film di sesso e politica (e conigli), non dimentica. Ha a che vedere con la terra, i suoi rossi e i suoi bianchi

Si accalora, scatta su, agita le posate senza mangiare, si commuove, asciuga una lacrima. Dovremmo parlare del film che è felice di aver interpretato, diretto da Giorgio Amato: Il ministro, che esce il 5 maggio ed è la storia di un imprenditore dalle mani sporche che a una cena a base di coniglio, coca e sesso invita il ministro che vuole corrompere. Trattandosi di una commedia dark, tutto andrà storto. Terzo figlio (dopo Ricky e Thomas, prima di Maria Sole) di Ugo, a 48 anni Gian Marco «Gimbo» Tognazzi però non si cimenta solo con la cena cinematografica: la sua è una «grande abbuffata» di passioni. A partire dal vino (75 mila bottiglie quest’anno) che produce la Tognazza Amata, la sua tenuta vicino a Velletri. Questa passione gli viene da papà, che «si definiva un “cuoco prestato al cinema”, e non comprava nulla di ciò che gli poteva dare la terra, dagli ortaggi al vino».
Da piccolo l’ha iniziata lui al vino?
«No, mia nonna Maria: a 4 anni mi portava a mungere le vacche, e alle 11 merenda, panino al salame e due dita di rosso. Ma con Ugo la convivialità era una filosofia: per lui esibirsi ai fornelli era come fare uno spettacolo. Diceva che la composizione di un piatto deve essere un’opera d’arte: una delle tante cose di cui è stato un precursore».
Nel film, lei ha una moglie vegana: come la mettiamo se uno è goloso e la signora butta il coniglio nella spazzatura?

«Va bene tutto, purché mi lasci libero di mangiare ciò che voglio. Ugo mi ha fatto provare di tutto, dalla balena all’ippopotamo, che è cattivissimo perché troppo grasso».
Dal punto di vista politico, c’è qualcuno che lei trova «indigesto»?

«Io faccio l’attore e l’imprenditore vitivinicolo, nella politica sono poco introdotto. Penso che questo Paese sia un po’ come Ugo: ha tutto. Dovrebbe basare la sua economia su questo patrimonio culturale e paesaggistico, e invece no».
Politicamente: cucina locale o etnica?

«Credo nell’unione delle risorse e delle persone, forse perché vengo dal cinema dove si lavora insieme. E penso a come Ugo riusciva a stare a fianco della gente: una volta, per esempio, ha trovato due ragazzi per strada, li ha portati a casa, ha cucinato per loro».
Il giornale satirico Il male annunciò in prima pagina che Tognazzi era a capo delle Brigate rosse. Una beffa, ma anche un altro mondo rispetto a quello del Ministro?

«Quella mattina rischiai il linciaggio a scuola. E non c’erano i social, le smentite non arrivavano in diretta. Ma Ugo in Tv disse: “Rivendico il diritto alla cazzata”. Invece, le collusioni delMinistro ci sono sempre state, anche da parti politiche diverse. Nel film, alla fine, sono tutti personaggi negativi».
Solo un cane si salva.

«È probabilmente il personaggio più umano di tutto il film».
Se la serata a tavola va male, lei che fa?

«Il vino aiuta, tira fuori la verità. D’altra parte, a pancia piena dovresti stare meglio, infatti a quelli dell’Isola dei famosi la mancanza di cibo altera il carattere».
A proposito di caratteri «alterati»: di lei si è detto che è un uomo aggressivo.

«Lo sono stato dopo la morte di mio padre. Dei figli, sono quello che ha avuto il rapporto più conflittuale. Ugo non interferiva mai con le nostre scelte, e a me sembrava di non avere attenzione, la cercavo attraverso la provocazione. Nell’89 avevamo litigato perché ho fatto Sanremo e così era saltata la mia partecipazione a Storia di ragazzi e di ragazze di Pupi Avati, cui lui teneva. Era andata così: stavo a letto con il ginocchio ingessato che mi ero rotto giocando con la Nazionale attori e sul giornale leggo che presenterò il festival. Mi sego il gesso, vado in Rai, mi dicono che con Avati non c’è problema. Io accetto e mio padre si incazza».
Ugo morì nell’ottobre dell’anno seguente: che successe in quell’ultimo periodo?

«Venne a vedermi a teatro, facevo Crack, uno spettacolo sulla boxe, sport che lui amava molto. Alla fine, lui era lì in piedi davanti a me, tutto rosso che urlava: “Bravooo!”. Ho ancora i brividi…  È stato il momento più importante della mia vita con lui, il rapporto che agognavo da anni».
Lei ha due figli, Andrea Viola e Tommaso, di 9 e 3 anni. Che padre è?

«Cerco di essere me stesso, di non nascondermi mai. Mio padre ha scritto solo una poesia per me – Clown clown clown – dove dice: “Io sono destinato a fare bimbi adulti, io che non so crescere”. Entrambi siamo così. L’importante è far capire loro che alla base di tutto c’è l’essere onesto, e se sei onesto sei anche buono».
È stato diretto al cinema da tutti i suoi fratelli: chi è il migliore?

«Più facile dirle chi è il migliore ai fornelli: Ricky. Maria Sole è più brava a scegliere i ristoranti, io a conoscere i prodotti della terra, e Thomas gode di tutte le nostre capacità. Al cinema sono diversi, ma anche simili, e quando lavoro con loro sono sempre molto più responsabilizzato perché mi conoscono, non mi posso nascondere dietro i trucchi. Ricky è pieno di fantasia, morbido per quanto preciso. Maria Sole con me è durissima, puntigliosa: è giusto perché è la sorella minore e lì è il capo. Thomas è la via di mezzo. Tutti comunque esigenti, e io obbedisco».
E con sua moglie come va?

«Benissimo. Almeno in questo, dopo anni di incarognimento con l’universo femminile, non ho seguito le orme di papà. Amo Valeria, siamo sposati da 10 anni. Lei si occupa dell’Associazione amici di Ugo Tognazzi: corsi di enogastronomia, iniziative benefiche, serate di teatro gourmet… Ma è una cosa separata dal vino, di cui stiamo per lanciare nuove etichette. Sa, per anni ho pensato che dovevo rifare tutto come lui, poi mi sono detto: Ugo era un innovatore e tu fai il conservatore? Vai avanti, Gimbo».

Vanity Fair

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