La televisione moderna sembra in gara con se stessa per mostrarsi e mostrarci peggiori di quanto non siamo. È una perenne rincorsa al “mostro”, stuff inteso in senso latino. Il fenomeno da baraccone, sick l’esemplare da fiera che faccia ridere, salve piangere o che blocchi l’attenzione almeno per qualche secondo nell’affannoso zapping dei residui telespettatori della esausta programmazione mainstream. Pensateci.
Programmi come Uomini e donne o Tu si que vales su Canale5, che per quanto si voglia ignorarli continuano a raggranellare ascolti di tutto rispetto, sono costruiti in quest’ottica. Maria De Filippi, infatti, sembra tollerare nel cast del suo daytime una figurina come Tina Cipollari – in grado di far sentire l’ultima casalinga di Voghera Rita Levi Montalcini – proprio perché quando la tensione patetica dei contendenti cala entra in azione lei, abbigliata e in carabattole, disposta a tutto, fino allo squassamento tellurico del piccolo schermo.
E giorni fa ho sentito la molto Barbara D’Urso correggere un suo ospite, rivendicando orgogliosamente il proponimento di parlare alla pancia del “suo” pubblico. La pancia, il cuore (che è nostro, perché ogni giorno ci viene donato dalla presentatrice di Pomeriggio 5), il fegato… una televisione di frattaglie. E di cattiva emotività.
Come quella che porta al tradimento, celebrato in un format di DeeJay Tv – emittente che per sua stessa natura si rivolge al pubblico giovane – dal titolo Alta infedeltà. Gli ascolti molto rilevanti hanno spinto ideatori, produttori e responsabili di rete a potenziarne l’offerta. E come potrebbe essere altrimenti!? Nel capovolgimento dei valori fondanti e nella totale assenza di pudore che caratterizza la società attuale, l’assuefazione a una sessualità e un’affettività liquide non può che essere percepita come elemento di fascinazione.
Lui,lei,l’altro. Ma anche: lei, lui, l’altra. Si legge sul sito del programma. E perché non lei, lei, l’altra; e lui, lui, l’altro? Sarebbe almeno un modo moderno di intendere i legami sentimentali. Per il resto il programma è un’indistinguibile amalgama di realtà e fiction, infarcita di luoghi comuni. Perciò, il pilota è inevitabile che sia un inguaribile tombeur de femmes, nel plot di bugie, cattiverie, vendette servito sotto forma di docureality.
Piccole donne a Los Angeles, che non ho ancora visto e non so se ne avrò voglia (mi bastano gli spot e i comunicati stampa), è basato sul medesimo principio. Ossia, Il superamento del concetto di pedinamento zavattiniano che diviene voyeurismo massmediatico. Terra, Tonya, Elena, Christy, Briana e Traci, questi i nomi delle donnine protagoniste, se ne vanno a zonzo per Los Angeles, e dovrebbe essere uno spettacolo avvincente. In onda sul Lei Tv, il manipolo di signore affette da nanismo si compiace di farsi seguire h24 dalle telecamere volendo mostrare, con tutta probabilità, se siano le più fornite “della virtù meno apparente, tra tutte la più indecente” o se siano carogne, sempre per citare De André, perché hanno il cuore troppo vicino all’ano. Quale altra finalità può avere una serie del genere, che tanto successo ha avuto negli States? Roba che gli eredi di Luisa May Alcott dovrebbero far causa per il blasfemo accostamento con il bel romanzo dell’illustre ava. Il politicamente corretto suggerirebbe di un approccio meno aggressivo da parte del critico. Prima ancora però avrebbe dovuto suggerire di non proporre un programma concettualmente tanto irritante.