Netflix vs Cinema, nessuna guerra. Chi vede in streaming va anche in sala

Netflix vs Cinema, nessuna guerra. Chi vede in streaming va anche in sala

Netflix e il cinema (inteso come luogo, nel senso di sala cinematografica) sono tutt’altro che nemici. A dirlo è il risultato di una ricerca condotta dal gruppo Quantitative Economics and Statistics dell’agenzia di Washington EY, secondo il quale, appunto, Netflix non starebbe assolutamente uccidendo il cinema. Questo perché, dice lo studio, le persone che vanno con più frequenza al cinema sono poi quelle che guardano più film in streaming. Quanto venuto fuori dalla ricerca è piuttosto sorprendente perché è l’esatto contrario di quello che si è creduto finora e che, nel nostro paese, ha spinto il ministro dei Beni culturali, Alberto Bonisoli, a firmare il decreto con cui si regola l’uscita dei film italiani: prima nelle sale cinematografiche e solo in un secondo momento sulle piattaforme streaming. Evidentemente una tutela per i gestori dei cinema e allo stesso tempo l’affermazione del ruolo prioritario della visione su grande schermo. Un gesto che sembrerebbe essere la conseguenza della convinzione che Netflix (o servizi simili) tolga spettatori alle sale cinematografiche. Ma non è così, dice oggi la ricerca.

Le due forme di intrattenimento andrebbero di pari passo: tra i 2500 intervistati, ad esempio, chi è stato al cinema nove o più volte negli ultimi dodici mesi ha poi guardato più contenuti streaming di chi è stato al cinema solo una o due volte nell’ultimo anno. Si tratta di una media di undici ore a settimana passate davanti a Netflix contro le sette ore di chi ha visto un film sul grande schermo solo una o due volte in un anno. Il punto è, per chi ha commissionato la ricerca, che “non è in atto una guerra tra Netflix e le sale cinematografiche perché chi ama guardare film lo fa in qualsiasi modo”. E, allo stesso modo, chi non va al cinema non passa nemmeno tempo a guardare film in streaming. L’altro dato inaspettato della ricerca è questo: non è vero che i teenager hanno perso l’abitudine di guardare film sul grande schermo. Gli intervistati tra i 13 e i 17 anni, infatti, hanno visto una media di 7,3 film al cinema in un anno e hanno guardato contenuti streaming per 9,2 ore settimanali, i numeri più alti di qualsiasi altra fascia d’età.

Che la sala cinematografica è ancora viva e in buona salute lo ha dimostrato sia Sulla mia pelle, il film sulla storia di Stefano Cucchi, di fatto l’unico italiano finora a essere uscito contemporaneamente in sala e su Netflix, che ha registrato incassi di tutto rispetto (considerate anche le tantissime proiezioni gratuite organizzate in molte città italiane), sia il Leone d’oro a Venezia, Roma, nella shortlist come miglior film straniero ai prossimi Oscar. L’opera di Alfonso Cuarón, prodotta da Netflix, doveva inizialmente arrivare sul grande schermo, distribuito in cinquanta sale italiane dalla Cineteca di Bologna, solo per tre giorni, come film evento, dal 3 al 5 dicembre, prima di arrivare proprio su Netflix dal 14 dicembre. Poi però le lunghe file alle casse dei cinema e quindi il successo del film in 65mm e in bianco e nero del regista messicano (già premio Oscar per Gravity nel 2014) hanno fatto sì che Roma restasse in sala per molti più giorni degli originari tre. Un segnale di apertura da parte di Netflix, certo, che sceglie di “regalare” una sua produzione al grande schermo. Questa volta però senza diffondere i dati ufficiali di pubblico e incassi.

Tutto questo porterebbe a pensare che in effetti tra Netflix e il cinema non sia in atto un conflitto, eppure i piani del gigante dello streaming per i prossimi anni sembrano piani di conquista. Dopo essersi affermata come piattaforma regina per le serie tv, infatti, Netflix punta ora a grandi registi e attori che, da parte loro, non disdegnano affatto. L’idea di Scott Stube, ex vice presidente di Universal Pictures e ora capo della divisione film di Netflix, è infatti quella di arrivare a produrre novanta lungometraggi all’anno, di cui cinquantacinque film (alcune produzioni indipendenti e altre ad alto budget, fino a 200 milioni di dollari, ad esempio) e trentacinque tra documentari e cartoni. “Se vuoi costruire un grande studio – ha detto Stube a New York Times – devi costruirlo con i grandi registi”.

E infatti il suo Netflix oltre ad avere già conquistato Cuarón e i fratelli Coen (il loro La ballata di Buster Scruggs è solo su Netflix) conterà tra le produzioni originali The Irishman di Martin Scorsese con Robert De Niro, Joe Pesci e Al Pacino, Pinocchio, l’esordio alla regia di un film d’animazione di Guillermo del Toro, The Laundromat di Steven Soderbergh (che aveva già collaborato con Netflix per il suo precedente High Flying Bird) con Antonio Banderas, Gary Oldman e Meryl Streep, Six Underground di Michael Bay con Ryan Reynolds. “Per me che vengo dalla tradizione della sala cinematografica – ha detto Scorsese commentando la sua scelta – è sicuramente una scommessa con un certo rischio. Joel e Ethan, Alfonso Cuarón e Tamara Jenkins direbbero probabilmente la stessa cosa. Ma continuiamo comunque a fare film pensando all’esperienza del grande schermo e Netflix concederà spazio per la distribuzione in sala. Ma la cosa più importante è che Scott e il suo team di fatto realizzeranno i nostri film – continua Scorsese, che per questioni di budget troppo alto ha ricevuto un ‘no’ alla produzione di The Irishman sia da Fábrica che da Paramount – impiegando rispetto e amore per il cinema e questo significa tutto”.

Giulia Eichtes, Repubblica.it

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