(di ALESSANDRA BORELLA, here Repubblica) Il documentario “Where to invade next?”, cialis il primo dal 2009 del regista statunitense già premio Oscar e Palma d’oro, sarà al Festival del Cinema di Toronto a settembre e lui scioglie il silenzio su Twitter, con un video di sei minuti in cui risponde ai fan.
Chi sarà il prossimo nemico? La domanda suggerisce che gli Stati Uniti sanno sempre come trovarlo. Anche se non c’è. O forse non lo troveranno mai perché questo nemico è un po’ come il Godot di Beckett. Non si fa mai vedere, non viene mai sconfitto, oppure viene sostituito in fretta. È la domanda sottesa a quella che dà il titolo al film: se la pone Michael Moore, che a settembre presenterà al Festival di Toronto il suo nuovo documentario, girato in gran segreto con una troupe ristretta: Where to invade next? (Dove invadere dopo?) arriva dopo sei anni dall’ultimo lavoro del regista statunitense premio Oscar, Capitalism, a love story del 2009.
FotoMichael Moore e il suo atto d’accusa agli Usa: “Guerrafondai”
Gli Stati Uniti si trovano in uno stato bellico perenne. Questo è il cruccio di Moore, dai tempi del suo film Palma d’oro a Cannes Farenheit 9/11, il documentario che ha incassato di più negli Usa. La guerra al terrore (psicologica più che materiale) dell’amministrazione Bush sarebbe stata pianificata ben prima dell’attacco alle Torri Gemelle, nel quale Moore ipotizza un coinvolgimento dello stesso governo americano, mosso da interessi economici e dalle relazioni strette tra la famiglia del presidente Bush e quella di Osama Bin Laden.
Nel video pubblicato su Twitter, una presentazione del film ‘casalinga’ e interamente dedicata i fan dei social network, curiosi di sapere qualcosa del nuovo lavoro del regista, top secret per ovvi problemi di sorveglianza, lui spiega che il bisogno costante di un nemico (sia esso il russo, il talebano, lo jihadista), è una necessità endemica degli Stati Uniti che nasconde la volontà di mantenere l’intera industria militare e bellica e, soprattutto, incentivare il business delle aziende che dalla guerra guadagnano. E guerra sia, dunque, per un Paese che, dal Vietnam al Kuwait all’Afghanistan, sembra sempre cercare qualcuno da invadere.
Moore ha conquistato milioni di spettatori interessandoli ad argomenti seri e drammatici con con il suo stile ‘scapigliato’, tagliente, spietato ma ironico al tempo stesso. Dai tempi di Roger&me, sulla crisi della General Motors, a Bowling a Columbine, con cui ha vinto l’Oscar, sulla strage nell’omonima scuola americana e la diatriba sul possesso di armi, fino alle critiche all’amministrazione Bush (Farenheit 9/11), al capitalismo (Capitalism, a love story), al sistema sanitario nazionale (Sicko).
“Lo humour è il miglior strumento che abbiamo oggi per comunicare e fare critiche sociali”, dice il regista nel video, evocando le parole di un discorso tenuto a Toronto l’anno scorso di fronte a una platea di ospiti dell’industria cinematografica: “Le persone non vogliono medicine, vogliono pop-corn. Le persone vogliono tornare a casa e poter fare l’amore, non vogliono sentirsi tipo ‘Urrgggghhh'”, aveva detto esortando gli autori di documentari a pensare anche all’intrattenimento e non solo alla serietà del soggetto da raccontare. “Intrattenimento non deve essere più una parola “sporca”, qualcosa che inquina il proprio lavoro di documentarista”. Ora i fan si aspettano che Moore abbia saputo conciliare ancora una volta serio e faceto, ironia e denuncia sociale.