L’artista torna in gara al Festival: “Per la prima volta nella storia, i genitori sono senza istruzioni”
D’altronde Daniele Silvestri è abituato a sparigliare le carte. Anche a Sanremo. Lo ha già fatto ventiquattro anni fa con L’uomo col megafono, poi con Salirò e La paranza.
E lo farà anche stavolta con Argentovivo (tutt’attaccato) che è un sorprendente brano per batteria e orchestra con un testo che fotografa una fase decisiva: l’adolescenza. «Do voce a un sedicenne, canto il suo unico punto di vista in un momento di buio e di vuoto», spiega lui che, dopo il Festival torna in studio per completare l’album (titolo ancora segreto, ma sarà comunque spiazzante) e pubblicarlo poi alla fine di aprile/inizio maggio. Intanto ha già cambiato le regole perché arriva al Festival con l’uscita di tre 45 giri «tematici» che comprendono anche brani come Tempi modesti e Complimenti ignoranti: «Ci avevo già pensato prima di essere accolto al Festival di Sanremo e perché cambiare? Getto dei semi prima che esca il disco», spiega lui sorridendo.
Prima che esca il disco passa anche dall’Ariston.
«Canto di un periodo tipico dell’adolescenza. Non mi ricordo di averlo vissuto ma mi accorgo, anche grazie ai miei figli, che in quest’epoca sia una fase più forte e pericolosa».
Perché?
«Non ci sono soltanto gli umori dell’adolescenza, ma c’è anche una disgregazione sociale che si affianca a una libertà pazzesca e a una connessione infinita».
Chissà l’imbarazzo dei genitori.
«Basta stare dentro una chat di genitori. La domanda più frequente è: Quali sono le regole da dare?. Sono dubbi che i nostri genitori e i nostri nonni e via dicendo non avevano. Diciamo che il cambiamento è arrivato, per la prima volta, senza istruzioni».
Cos’è l’argento vivo?
«È una scintilla che si infiamma dentro di noi. Vederla spenta o imprigionata è un crimine».
Vede un’adolescenza spenta?
«Non ci sono soltanto adolescenti spenti, per fortuna. Ma la vera differenza è che, se si spegne l’argento vivo, non c’è un mondo reale da mettere in contrapposizione per suscitare un’altra scintilla. L’altro mondo è solo virtuale, e lì non c’è bisogno di essere attivi».
Come è arrivato a questo testo?
«Non è solo esperienza personale, anzi. Molti su Facebook mi chiedevano di parlare di scuola e nuove generazioni. Una signora, penso fosse una mamma, mi ha anche accennato all’argento vivo, e a quei disturbi dell’attenzione che poi vengono talvolta maldestramente sedati».
Una generazione complicata.
«È la prima, o forse la seconda, a fare i conti con questa realtà. Ma anche noi genitori disorientiamo con i nostri esempi. Noi siamo cresciuti parlando e confrontandoci senza smartphone. Oggi magari consigliamo più contatti umani e veri, ma nello stesso tempo passiamo tanto tempo attaccati al display di un cellulare».
A proposito, sia Complimenti ignoranti che Tempi modesti intercettano il mondo social.
«Sì, io ho dei fan splendidi e ne sono orgoglioso. In realtà parlo dei cosiddetti leoni da tastiera che si prendono la libertà di dire qualsiasi cosa spesso con violenza gratuita».
Qual è la frase tipica dei leoni da tastiera verso Daniele Silvestri?
«Qualcosa del tipo: Ma lascia perdere, canta e basta».
Più o meno ciò che è stato autorevolmente detto a Baglioni dopo le sue dichiarazioni sui migranti.
«Più o meno quello».
Lei canterà il brano a Sanremo con Rancore.
«Mi ha sempre affascinato: è un grande freestyler ma sa anche scrivere. L’ho chiamato poco prima di essere ammesso nel cast di Sanremo, lui non ne sapeva nulla».
Nella serata del venerdì al Festival avrà di fianco anche Manuel Agnelli.
«E la versione a tre voci sarà poi quella che si ascolterà sul disco. L’ho coinvolto perché vola alto, talvolta urla e adoro come lo fa. Interviene nella parte più onirica del brano».
Non è l’unico degli Afterhours con lei al Festival.
«In realtà ci sono anche Fabio Rondanini ed Enrico Gabrielli, che è stato nella band per tanto tempo».
Dopo il Festival (candidato al premio della critica) uscirà il disco e lei tornerà in tour a ottobre.
«Stavolta canterò nei palasport ed è il mio primo vero tour in quella dimensione. Non la vedo come una consacrazione però, quando registravo il disco, mi sono detto: ecco, i palasport sono la sua dimensione giusta».
Paolo Giordano, il Giornale