L’attrice interpreta la mamma del regista in È stata la mano di Dio, ora su Netflix, un ruolo che sembra esserle cucito addosso. E che qui ci racconta. Dall’abilità di giocoliere, che non vorrebbe perdere, all’amore di un tempo, così diverso da oggi, fino a Maradona
Se bastassero le definizioni, la sua potrebbe essere «attrice rivelazione del 2021». Perché a un certo punto può accadere – per benedizione o per maledizione, dipende dai punti di vista – che un personaggio calzi più di tutti gli altri prima, e che siano tanti o pochi non è rilevante. Così Teresa Saponangelo, 48 anni e una vita dedita al teatro, è oggi Maria Schisa, mamma di Fabietto, il giovane (Paolo) Sorrentino di È stata la mano di Dio, l’ultimo (bellissimo e intimo) film del regista napoletano ora disponibile su Netflix, e che, incrociando le dita, rappresenterà l’Italia ai prossimi Oscar.
Maria è allegra, ma anche malinconica. È lei che tiene unita la famiglia nei momenti di crisi, ed è sempre lei che sa come far ridere tutti, anche quando di ridere non ne avrebbe proprio voglia. Mente di geniali scherzi telefonici e prestigiatrice con le arance. «È un periodo pieno zeppo di messaggi, di soddisfazioni», ci racconta al telefono Teresa, pochi minuti dopo che il film è stato nominato anche ai Golden Globes, «Mi scrivono tutti: conoscenti, amici persi nel tempo, sconosciuti. La cosa bella? Sono solo complimenti, affettuosi, caldi, spontanei».
Quello che le piace di più?
«Quando mi dicono che ho centrato il personaggio come madre e come donna. Mi sono impegnata per questo personaggio come per tutti gli altri, ma a volte accade che si incastrino tutti i punti. Quello che ci vedo io, quello che percepisce il pubblico, quello che aveva in mente il regista. In Maria ho messo immagini mie, della mia famiglia, che alla fine hanno restituito l’idea che aveva Paolo».
Qual è stato per lei il tratto più difficile di Maria?
«La sua complessità, la sua rotondità. E ho lavorato moltissimo sulle arance, farle cadere era una mia grande preoccupazione. La scena più difficile è stata giocare con le arance e contemporaneamente piangere, significava controllare tutto al cento per cento. Mi sono esercitata per un mese e mezzo finché giocare con le arance è diventato un automatismo».
Lo fa ancora?
«Sì, e ogni tanto mi dico che dovrei farlo di più. È un’abilità che non vorrei perdere. È anche il bello del mio mestiere: potere esprimersi in tanti modi, con delle carte che non avresti mai immaginato».
Com’è stato essere diretta da Paolo Sorrentino in un ruolo per lui così delicato, quello di sua madre?
«Lui ama gli attori che si esprimono molto attraverso il corpo, come Toni Servillo. Non è uno che parla molto. Ti dà in mano la sceneggiatura e tu capisci cosa andrai a fare. Su questo film, per ovvi motivi, c’era grande riserbo, grande attenzione e grandissima delicatezza. Ci sono stati momenti di forte emozione durante le riprese. Oltre al divertimento nell’interpretare la famiglia tutti insieme».
Che amore è quello di Maria e Saverio (Toni Servillo)?
«Un po’ classico, quello di una coppia di un tempo, che va oltre le difficoltà. Ci sono momenti anche forti, molto sgradevoli, che creano grande sofferenza, ma le coppie così resistono. La madre descritta da Paolo è una donna che tiene in mano la famiglia, nonostante soffra. Cerca disperatamente di farcela. Ma nemmeno per un istante ho pensato che non ci fosse amore tra i due. In Maria e Saverio c’è amore, tanto, con tutte le sfaccettature, con tutte le contraddizioni dell’essere umano».
Che cosa si impara da un amore così?
«Che oggi si tende a essere più netti. Ma nei sentimenti si può anche non essere coerenti. Noi oggi tendiamo a semplificare, ma i sentimenti possono essere complessi. Credo che il pubblico apprezzi anche questo, che si possa soffrire e rimanere. A Maria riconosco grande forza, anche come madre. Non ho mai pensato a lei come a una vittima, c’è grande dignità nel dolore. In lei rivedo un modello di donna che ho conosciuto anche nella mia famiglia. Mia nonna amava con grande dignità, con una certa postura, non si scioglieva mai di fronte a mio nonno, in lei c’era un mare dentro. Oggi viene fuori, invece, la parte più irruente, quella che distrugge tutto. Io, per esempio, non posseggo per niente la qualità di andare oltre. Le arance le tirerei in faccia».
Conosce Toni Servillo da molto tempo, è cambiato il vostro rapporto dopo È stata la mano di Dio?
«Abbiamo lavorato insieme a teatro, siamo stati in tournée per oltre un anno. Ci conoscevamo quindi abbastanza bene, io conoscevo il suo modo di ascoltare, di seguire lo spettacolo. Oggi ci sentiamo spesso, spero di rincontrarlo presto a teatro. Io fin da piccola ho sempre pensato di più al teatro e poco al cinema. Da bambina, a casa della nonna materna a Napoli, abitavo in un palazzo che condivideva l’ingresso con il teatro Politeama. Così ero sempre dentro a guardare gli spettacoli. Era meraviglioso: De Simone, Lavia, Albertazzi. Non avrei potuto fare altro».
Lei è nata a Taranto, ma è cresciuta a Napoli. Che rapporto ha con la città?
«Mi piace tantissimo tornare per lavoro, com’è stato per questo film. La vivi un po’ da turista. Viverla ogni giorno, invece, è più faticoso. Ogni volta che ritorno è come se mi immergessi in lei per prenderne il meglio. Mi nutro e poi torno a Roma».
Anche lei ha perso il padre da piccola, come Sorrentino. Crede che questo abbia influito nell’entrare nel personaggio?
«No, non è stato motivo di pensiero sul lavoro, sono altre le emozioni che mi hanno attraversato, legate molto più ai sentimenti di coppia. E con Paolo mi sono trovata particolarmente bene, mi ha dato grandissima fiducia, non mi ha detto niente che potesse creami ansia. Solo ogni tanto diceva a un suo collaboratore: “chiedi a Teresa se si sta allenando con le arance?”».
Perché quel gesto è così importante?
«Si tratta dell’elemento un po’ estraneo a tutto, quello che sorprende sempre. Un elemento narrativo che non ti aspetti, un espediente che permette al personaggio di esprimersi in maniera opposta, ossia concentrata su un’azione fisica diversa da quella sta affrontando emotivamente».
Se dovesse arrivare la nomination, andrà agli Oscar?
«Sono in attesa, seguo passo passo il film, poter entrare in quella cinquina è da brivido, un sogno bellissimo».
Oltre a Napoli, l’altro protagonista del film è Maradona. Ne ha subito anche lei il fascino?
«Sono cresciuta a Napoli, quindi sì. Quando lo erano tutti, anch’io conoscevo i cori in suo onore. Avevo un fidanzato appassionatissimo di Maradona, diceva sempre “Maradona pensaci tu”».
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