Il 2021 è stato l’anno delle promesse mezze disattese. C’è stata la parentesi estiva, a foraggiare l’ottimismo verso una ripartenza, diventata un termine così abusato che, proprio come quando ci si ripete in testa dieci volte di fila una parola, ha perso un vero senso. C’è stata la grandiosa campagna vaccinale italiana, con numeri da far invidia a tre quarti d’Europa, ma non è bastata, e a oggi siamo qui a controllare le norme che regolano le nuove zone gialle. Le avevamo scordate, teneri noi. Avevamo pure creduto che dopo la Delta, a posto così, e invece. Il vado-non-vado del 2021 ha avuto una didascalica incarnazione in questo X Factor da poco concluso, quello, sulla carta, del rinnovamento e della freschezza, e che, invece, è stato un lento supplizio di retorica, stanca generale, frasi opache ripetute così tante volte da far credere di star vivendo un’immotivata allucinazione, noia. Eppure la zampata, il guizzo, la bellezza c’è stata, ed è arrivata da un settore che il 2020 aveva piallato senza sconti, ovvero quello delle serie tv. Il 2021, anno traballante e illusorio, spicca per quantità di prodotti seriali straordinari, grazie ai quali ci tocca persino perdonarlo. Anzi, volergli pure un po’ bene.
Non si parlerà, qui, delle cose più pop e mainstream, che vi abbiamo già raccontato diffusamente, nemmeno delle serie outsider che si sono prese la scena e il successo mondiale, vedi alla voce Squid Game, e nemmeno di ciò che è stato assai dibattuto, con schieramenti in tifoserie opposte e prive di un punto di incontro, com’è successo aStrappare lungo i bordi di Zerocalcare. Qui vi portiamo da un’altra parte, in una zona meno chiacchierata (almeno in Italia), ma piena zeppa di bellezza. Troverete titoli certamente noti e ben piazzati in fatto di candidature ai Golden Globes, ma che proprio per la loro natura obliqua, estrema, grottesca, impegnativa, qui da noi si sono prese meno attenzioni di quanto avrebbero meritato. Questa, dunque, è una lista (parziale come sempre sono le liste) delle serie del 2021 (con una sola, doverosa, imprescindibile eccezione) da recuperare durante le feste. O durante le notti insonni, a seconda di quanto anche le ferie siano, per voi, una delle promesse disattese dell’anno che sta per finire.
Reservation Dogs
È passata così inosservata, che ho rischiata di ciccarla anche io e perdermi la mia cosa preferita del 2021. Con Taika Waititi (premio Oscar per JoJo Rabbit, mica uno che passava di lì per caso, insomma), questa meraviglioso impasto di realismo, comicità e poesia disponibile su Disney+, si svolge nel territorio indiano, in Oklahoma, ed è la prima serie con alle spalle un team composto interamente da nativi americani. Co-creatore è Sterlin Harjoe, un Oklahoman da una vita e membro delle Nazioni Muscogee e Seminole. Protagonisti i giovanissimi attori D’Pharaoh Woon-A-Tai, Devery Jacobs, Lane Factor e Paulina Alexis che interpretano Bear, Elora Danan (sì, come la bambina del film degli Anni 80 “Willow”), Cheese e Willie Jack. Sono quattro adolescenti nativi americani che hanno intrapreso una goffa carriera pseudo criminale (no non siamo in territorio Gomorra, ma neppure di sfioro, qui si parla di furi di furgoni di patatine piccanti, per intenderci) per finanziare la fuga californiana che sognano. È a questa comunità rurale, con i suoi cicli di povertà e dipendenza, che incolpano per la morte del loro amico Daniel. Un evento che li ha sconvolti, ma che rimane come sfondo drammatico, di tanto in tanto sfiorato ma con punte di intensità tali che spaccano letteralmente il cuore, e non mi vergogno affatto per la frase appena scritta. La trama è esile, lo splendore sta nel ritratto dei personaggi, talvolta caustico, ironico al punto che se non ci fosse la squadra che c’è, alle spalle di questo memorabile lavoro, sarebbe additato come, minimo, problematico. Ti innamori dei Reservation Dogs, dei suoi squarci sulla vita vera di una comunità di cui nulla sappiamo, del mix che convive naturalmente in questi adolescenti tra la loro tradizione e la società moderna. Si ride tantissimo, non ci si dà pace quando le si deve dire arrivederci.
Dopesick
Guardare Dopesick, sempre su Disney+, significa entrare ad occhi aperti in quello che è stato definito “il crimine del secolo”, e cioè la strage americana causata da un farmaco oppiaceo a base di ossicodone, messo sul mercato come potente anti dolorifico venduto ai medici di base come privo del rischio di creare dipendenza. Diventato il farmaco più prescritto ovunque, s’è presto rivelato più letale dell’eroina. Il dramma in otto parti – basato sull’omonimo libro di saggistica di Beth Macy – ti porta senza sconti proprio qui, nelle terribili cause e gli effetti devastanti della crisi degli oppiacei scatenata in gran parte negli Stati Uniti da Purdue Pharma e dal suo OxyContin. Ritratto feroce del potere delle persone non vincolate da limiti finanziari o morali e della sofferenza indotta dall’avidità aziendale libera da un sistema normativo e legale sopraffatto e con risorse insufficienti, Dopesick non è solo mera cronaca, ma anche un affresco di personaggi straziati e strazianti, come il dottor Samuel Finnix, interpretato con disarmante bravura da Michael Keaton, la giovane minatrice Bets, che diventa dipendente dall’OxyContin dopo un terribile infortunio, Bridget Meyer (Rosario “Sua Maestà” Dawson), agente della DEA Drug Enforcement Administration, affiancata da due avvocati Rick Mountcastle e Randy Ramseyer (Peter Sarsgaard e John Hoogenakker) che in modo autonomo voglio capire il motivo sul marcato aumento di crimini violenti che, forse, sono collegabili alla somministrazione, con conseguente dipendenza, dell’OxyContin. Tutto vero, tutto sconvolgente, tutto ancora più senza speranza per il fatto che sappiamo che subito dopo l’Oxy negli Usa è stato messo in commercio il Fentanyl, da 50 a 100 volte più potente della morfina, e che ha già ucciso più di 100 mila persone solo nel 2020.
The White Lotus
The White Lotus è una serie che amo, perché odio tutti i suoi personaggi. Fatti per essere odiati, nelle loro modernissime piaghe, dall’ipocrisia di un attivismo che porta denaro, alla polemica che gira a vuoto di teenager saccenti e nichilisti, dall’incontentabilità dei ricchi che scatenano guerre quando non vengono accontentati nel minimo capriccio (una Palm Suite negata e sostituita con la Suite Ananas è un affronto che non può essere accettato, dal genitore che s’affanna per trovare un dialogo che non sa costruire col proprio figlio dipendente dai videogames, fino all’apparentemente buona della serie, l’immensa Jennifer Coolidge, che alla fine è una smidollata senza speranza. In onda su Sky/Now Tv, The White Lotus, è una tagliente accusa del privilegio bianco e un’illustrazione cupamente comica del divario tra coloro che lavorano duramente per quel poco che hanno (il personale dell’hotel) e coloro che hanno molto e non sembrano lavorare sodo per questo ( gli ospiti dell’albergo). Con le sue meschine faide, i pettegolezzi selvaggi e la tensione fatale, questa è la serie perfetta per scrollarsi di dosso lo spirito del Natale.
Mare of Easttown
Molti spettatori sono rimasti affascinati da Mare of Easttown perché volevano sapere chi era responsabile della morte della mamma adolescente Erin McMenamin (Cailee Spaeny). Ma mentre gli aspetti più prettamente thriller di questa serie sono certamente avvincenti, non sono ciò che lo rende uno spettacolo così singolare. Il creatore e scrittore Brad Inglesby è più interessato ad altri misteri, come le origini oscure delle crepe che infrangono la facciata coriacea della detective Mare Sheehan (una superba Kate Winslet), la natura delle intricate connessioni tra i residenti di questa piccola contea di Delaware, città della Pennsylvania, e come le madri affrontano la perdita, in vari modi, del legame con i figli. Con il suo scenario ricco e palpabile e le sue performance eccezionali dall’alto verso il basso, Mare of Easttown deve quasi tutto alla migliore Kate Winslet forse di sempre. C’è qualcosa nel suo approccio da donna qualunque, con quella la sua volontà di sedersi nella tristezza e nel dolore di Mare, che ha reso la miniserie un capolavoro.
Succession
Non è una serie nuova, è alla sua terza stagione, che stavamo aspettando da due anni. Ma quando arriva Succession, è una della frasi che ho pronunciato più spesso nel 2021. Ora è tornata, è su Sky, va oltre se stessa, oltre le aspettative, e l’unica cosa che io possa dire di sensato a riguardo è “guardatela con taccuino per gli appunti alla mano”.
The Mosquito Coast
Non troverete in quasi nessuna lista delle migliori serie del 2021, questa di Apple+, ma, che dire, sono loro che sbagliano. Questo adattamento del romanzo di Paul Theroux del 1981 riguarda una famiglia che vive fuori dalla rete con il loro patriarca, inventore e anticapitalista Allie Fox (Justin Theroux, nipote del romanziere), e alla fine finisce per fuggire pazzamente e istericamente, in uno scenario che porta all’oscurità di Conradian. La famiglia Fox finisce in situazioni potenzialmente molto brutte, tra trafficanti di esseri umani, miliziani di frontiera e cartelli della droga in un vortice lentamente vertiginoso di coincidenze e violenza, avviluppando il pubblico ad ogni fase del loro folle viaggio e rivelando nuovi aspetti della storia e della psicologia della famiglia. La regia, la scrittura e la recitazione sono estremi, guizzanti, frustranti, così come la scia di macerie umane che questa famiglia lascia durante la fuga (da cosa, perché, per colpa di chi, sono tutte cose per le quali dovrete avere parecchia pazienza). Non è da prendere troppo sul serio, ma da bere tutta d’un fiato.
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