La conduttrice, ora in libreria con «Codice Ventura», racconta la ragazza che è stata. Dai genitori alla prima volta. E la donna che è oggi, tra tv, tre figli e un nuovo amore: «Devo tutto a quella Simona che non ha mollato mai»
Simona Ventura, 54 anni. Padre ufficiale dell’esercito, madre severissima; una sorella, Sara, a cui è molto legata. Infanzia a Chivasso (Torino), giovinezza a Milano. I concorsi di bellezza prima, la tv dopo. In quasi trent’anni di carriera ha condotto di tutto: quiz, domeniche, reality, prime serate, successi e non. È caduta, si è rialzata. Dovesse risucccedere, è pronta a rifarlo. Nel 2008 ha scritto un libro, mettendo nero su bianco il motto di una vita: «Crederci sempre, arrendersi mai».
Undici anni dopo Super Simo ne pubblica un altro: Codice Ventura, che ripercorre i suoi anni ’80 e ’90, diventandone manifesto di un’epoca. «Era nato come un libro sull’amore, una cosa tipo “Io e l’amore, istruzioni per l’uso” poi mi sono detta “Chissenefrega. Meglio omaggiare il mio passato, la ragazza che sono stata”», racconta poco dopo averlo presentato per la prima volta, a Milano, al fianco del suo compagno, il giornalista Giovanni Terzi che sposerà «prestissimo». Edito da Sperling & Kupfer, in copertina fanno capolino due Simone: la bionda di oggi, la rossa con caschetto e frangia di ieri. Una si fonde con l’altra: «Sono fortunata, sono ancora la ragazza di allora. Alla fine della fiera, non ho né rimpianti, né rimorsi. Sono una donna libera». E non è poco.
Com’era la Simona degli anni ’80?
«Ero buona. Certo, molto più fumantina, ma spontanea, molto creativa, allegra. Sono sempre stata una stakanovista ma posso dire anche di essere sempre stata leale. E oggi sono felice di quello che sono diventata. Tutto quello che è successo ne passato va bene. Gli errori sono quelli che fanno crescere».
Nel suo Codice Ventura ogni capitolo è un hashtag. Non c’è, però, #genitori.
«No, ma ho inserito #radici. Mia padre, ufficiale dell’esercito, è sempre stato un mito per me. E mia madre è sempre stata ancora più severa. Quando ero ragazzina era lei che per prima andava di nascosto nella cassetta delle lettere e quelle che non le piacevano, le strappava. Allora forse era anche più facile controllare i figli… Ho avuto orari da rispettare, compiti da fare, persone da non frequentare. E va bene così. I miei genitori sono stati fontamentali. E io e mia sorella siamo molto fortunate perché li abbiamo ancora. Oggi sono anziani, ogni tanto cadono, hanno qualche incidente, ma continuano a essere autonomi seppur presenti. Viaggiano, vivono la loro vita, non si arrendono».
C’è, invece, #droga
«La droga me la ricordo benissimo, è arrivata in un momento preciso degli anni ‘80. Mi ricordo l’eroina, il fumo, la cocaina invece era per i ricchi. Per droga ho perso il mio migliore amico dell’infanzia. Alcuni ce l’hanno fatta, altri li abbiamo persi. Io non mi sono mai drogata. Ho sempre avuto chiari i miei obiettivi: famiglia, lavoro».
#tendenze
«Mia madre Anna, elegante e bellissima, è stata una modella «di conformato», le curvy di oggi. E dopo ha aperto una sartoria a Chivasso. Lì mi sono appassionata di abiti. Con i primi guadagni da modella poi mi sono comprata le Timberland e il piumino Moncler da vera paninara di Milano degli anni ottanta. E quando è arrivata la televisione, sono stata testimonial di Armani, Dolce & Gabbana, Valentino. Un sogno. Ma la moda non l’ho mai subita, ci ho sempre giocato. Del resto tutti i primi guadagni, dai premi vinti con i concorsi di bellezza che rivendevo, li ho sempre messi in banca, nei libretti al portatore».
#rischi
«Noi ragazzi degli anni ottanta ne abbiamo corsi tanti. Cadere e rialzarsi era una cosa abbastanza normale. Quello che contava era il modo in cui ci si rialzava. Io mi sono sempre buttata a pesce. Il rischio l’ho sempre considerato un’opportunità, ed è ancora così».
C’è #sesso ma manca #amore
«Non c’è #amore perché molto si è già raccontato dei miei rapporti, di Stefano (Bettarini, ndr), dei miei ex. Voglio che siano capitoli chiusi della mia vita. Basta».
In #sesso, invece, racconta la sua prima volta
«È arrivata passati i vent’anni. Mia madre mi aveva educato al valore assoluto della verginità. Così feci l’amore per la prima volta un po’ perché ero rimasta l’ultima della mia compagnia. Ricordo che in sottofondo, alla radio, non c’era una canzone di Elton John ma Tutto il calcio minuto per minuto».
Un po’ un segno del destino. Ci crede?
«Molto. Sono una cattolica non praticante, nel senso che pratico a mio modo. Sono molto accogliente, includente e fatalista. Non ho paura della morte ma ho paura di morire».
Cosa cambia?
«Ho paura di far soffrire le persone che mi stanno vicino. Di morire prima di loro e di lasciarle sole. È un po’ il mio incubo. La morte può arrivare in qualsiasi momento e io penso di avere vissuto una vita piena. Non ho rimpianti, né rimorsi e questo mi fa stare da Dio».
Tornando al 2019, cosa scriverebbe dentro l’hashtag figli (ne ha tre: Caterina, 13, Giacomo, 19, e Niccolò, 21)?
«I miei figli subiscono ad alterne fortune quello che sono io. Non l’hanno scelto. Oggi sono tutti molto focalizzati sui loro sogni, sui loro obiettivi. E questo mi piace. Io ci ho sempre messo una grande forza, non ho mai avuto scorciatoie. Anzi, il mio karma mi ha reso tutto più difficile. A loro insegno sopratuttto l’onestà. L’impegno al sacrificio. Per il resto, anche se provo a nasconderlo, sono una mamma molto chioccia, apprensiva».
L’#amore di oggi?
«Meraviglioso. È l’amore che non ti aspetti, quello che arriva nel momento in cui ti dici “anche da sola sto bene”».
Se potesse dire qualcosa a quella Simona, quella degli anni ’80-’90, cosa le direbbe?
«Le direi “grazie”. Se sono diventata la donna che sono adesso, lo devo a lei. Lo devo a quella Simona che non ha mollato mai».
VanityFair.it