L’attrice e regista presenta ‘Una ragazza di 90 anni’, codiretto con Yann Coridian, girato nel reparto geriatrico dell’ospedale Charles Foix d’Ivry, vicino Parigi dove il coreografo Thierry Thieu Niang cura i malati di Alzheimer con la danza
Sarà pure triste mostrare la vecchiaia, anziani spaesati, separati dalla vita per una malattia che toglie loro ricordi, memorie, radici. Invece quando il film finisce sulle tenere note di una filastrocca per bambini, cantata dalla figlia Oumy e suonata dalla sorella Carla Bruni, sono solo sorrisi, magoni di commozione e applausi, una redenzione come quando si è appena finito di leggere un romanzo d’amore e di vita. Une jeune fille de 90 ans, (una ragazza di 90 anni) “il mio quinto film”, sottolinea orgogliosa Valeria Bruni Tedeschi, è un documentario delicato e carico di poesia girato insieme a Yann Coridian nel reparto geriatrico dell’ospedale Charles Foix d’Ivry, vicino Parigi, dove per cinque giorni il coreografo Thierry Thieu Niang teneva un laboratorio di danza, un esperimento sul movimento in relazione a pazienti malati di Alzheimer. Il film mostra quel lavoro, ma soprattutto come la danza, quei gesti delicati e dolci, si oppongono all’oblio, alla solitudine dell’età e della malattia e fanno riaffiorare la vita, perfino l’amore, come succede a Blanche una delle pazienti: piccola, fragile, 92 anni con candore, nel corso delle riprese dichiara il suo amore a Thierry Thieu Niang.
Valeria Bruni Tedeschi, reduce dal successo di La pazza gioia per cui è candidata agli Efa (gli Oscar europei), ha già la testa su un altro film ma a Une jeune fille de 90 ans, è legata e affezionata. L’altra sera il film è stato presentato al Festival dei Popoli a Firenze e ieri sera, jeans azzurri e golfino grigio, i capelli corti, biondi e spettinati, il bel viso senza trucco ha voluto essere presente con Yann Coridian alla prima a Milano nella atmosfera sobria e autoriale del Festival Filmmaker e stasera sarà al Riff- Roma Indipendent Film Festival. “Il film è nato per la tv, per Artè, dove verrà messo in onda – inizia a raccontare Valeria- ma ci fa piacere portarlo ai festival. Non è certo destinato ai circuiti commerciali. Abbiamo pensato a uscite mirate e informali. A Milano, per esempio, sarà programmato allo Spazio Oberdan dal 25 dicembre all’8 gennaio. A Parigi in primavera verrà proiettato una volta la settimana per tre mesi. Mi piacerebbe che anche a Roma succedesse qualcosa di simile. Noi cercheremo di seguirlo, perchè per questo film è importante discutere e parlare con il pubblico”.
Come vi è venuta l’idea di un documentario sugli anziani?
“Avevo conosciuto Thierry con Patrice Chereau mentre preparavamo lo spettacolo Rêve d’automne di Jon Fosse – dice Valeria- Ci aiutava nella preparazione fisica. Quando mi ha detto dello stage che avrebbe tenuto in quell’ospedale per cinque giorni, ho proposto a Yann di fare un documentario, cosa che nessuno dei due aveva fatto prima. Ma la sua danza ci ha permesso di guardare quelle persone attraverso un prisma che ci ha aperto molte porte inattese”.
Lei e Yann parlate di documentario, ma sembra un vero film con una storia, uno svolgimento, l’amore di Blanche per Thierry, una conclusione.
Yann: “Il nostro progetto è sempre stato di fare un documentario e tale è rimasto. Il pubblico vede quello che abbiamo visto noi, non c’è stata una ricostruzione narrativa”.
Valeria: “Si anche per me è un documentario durante il quale è successo un miracolo, quella storia d’amore, con le tappe di tutte le storie… Noi avremmo solo voluto che durante il film si creassero momenti di empatia perchè, come dice Simone Weil, l’unico miracolo su questa terra è l’empatia tra due persone. Mai avremmo pensato a una storia amorosa, merito del meraviglioso lavoro di Thierry”.
Non una semplice arte-terapia, ma un profondo lavoro sul corpo attraverso il gesto.
“Thierry non è un terapeuta, è un artista. L’arte intensifica la vita fino a creare appunto il miracolo dell’amore. Il nostro documentario testimonia tutto questo, insieme alla solitudine degli anziani, una malattia difficile da vincere. Quella solitudine dentro cui la nostra società li relega. In altri paesi non è così, c’è rispetto per la vecchiaia”.
Paura dell’età che avanza?
Yann: “Io ho poca dimestichezza con gli anziani. E quanto alla paura ero già vecchio da giovane”.
Valeria: “Per me è una cosa strana. A seconda delle epoche, dei momenti della mia vita, dei giorni mi sento vecchia o bambina. Accanto a quelle signore per cinque giorni ho avuto la sensazione forse un po’ banale che siamo tutti sulla stessa barca. Anch’io come loro mi sono sentita come bloccata in certi momenti della mia vita, come se non riuscissi a scollarmi dalla memoria del passato. L’idea di cambiare fisicamente, poi, un po’ mi spaventa. Ma ogni giorno mi ci abituo un po’ di più quando mi guardo allo specchio. Addomestico lo spavento dell’età che passa. Leggo molti libri sulla saggezza, sulla fine, ma non ho ancora imparato a ridere della morte come il Dalai Lama”.
Yann lei che lavori ha fatto e che progetti ha ora?
“Scrivo novelle per bambini, e faccio lo sceneggiatore. Ora sto adattando un racconto sulla giovinezza per una serie tv. Prima di questo documentario avevo girato un solo film, Nuts (titolo originale Ouf) con Valeria Golino. Progetti? Continuare a invecchiare serenamente”.
E lei Valeria?
“Sto cercando di scrivere il mio prossimo film, sempre una storia di famiglia che riguarda un po’ me, un po’ il mondo in cui vivo. Mi piacerebbe fare teatro, ma adesso con due bambini piccoli non è facile, mia figlia Oumy ha otto anni, mio figlio due e mezzo, ogni spostamento è un problema organizzativo. E poi voglio fare prima il mio film, entro sei mesi se ce la faccio. Ci saranno moti personaggi, un mucchio di gente e io lì, con il mio sguardo a guardare le vite degli altri”.
di Anna Benedettini, La Repubblica