E così un altro se ne va. Nella puntata «Danger Zone», appena andata in onda negli Usa e da noi su FoxLife il 13 novembre, lascia uno dei protagonisti delle ultime stagioni, il dr. Nathan Riggs. Interpretato dal neozelandese Martin Henderson, era entrato solo un paio di anni fa – si disse – per occupare un posto importante nel cuore della neo vedova Meredith Grey. Tra alti e bassi, quasi ce l’aveva fatta. Anche se la storia tra loro e in generale il personaggio non aveva mai veramente conquistato gli appassionati.
E così la creatrice e vero deus ex machina Shonda Rhimes ha deciso che era il momento di imporre un’altra sterzata sentimentale: ha fatto tornare dal nulla la fidanzata Megan, nonché sorella di Owen Hunt. Rapita in Iraq e data per dispersa da 10 anni, è stata liberata e poi catapultata al Grey-Sloan Memorial malconcissima di salute. Si salva e Riggs decide di ricucire quel rapporto in cui si era in passato comportato così male (e per cui all’inizio era tanto odiato dal rigido Owen). Dopo un lungo flashback dove finalmente ci viene spiegato cosa era accaduto tra loro, l’aitante dottore lascia Seattle e la serie. Mentre inizia – ci si aspetta – la ricerca di un nuovo aspirante amoroso per la sempre più sola Meredith.
Quanto a Henderson: tornerà? Tutto è possibile. Lo stesso attore non ha negato questa possibilità. «Se c’è una cosa che Shonda sa fare in modo brillante è stravolgere le speranze e le aspettative delle persone. Ecco perché lo spettacolo continua ad avere successo. Non puoi mai predire cosa succederà ai personaggi».
Per gli standard di «Grey’s Anatomy» niente di nuovo: era accaduto a Patrick Dempsey che sembrava insostituibile, in carica nel cuore della superprotagonista Meredith fin dal pilot della serie; era avvenuto all’altro bellone, il biondo Eric Dane, fatto fuori con un incidente aereo. Lunga ma inevitabile l’agonia di Jeffrey Dean Morgan.
La sola differenza è il lieto fine riservato a Riggs, l’assenza di uno di quei bei colpi di scena grondanti sangue, incidenti, morti violente o catastrofi, a cui ci eravamo un po’ abituati. Perché quella dei cambi repentini di cast è (anche) il bello della serialità: si rischia l’ira dei fan ma si imprime nuova linfa alla storia. E più durano nel tempo e più sono frequenti. Da due anni per esempio «Ncis» è orfana di Michael Weatherly: e molto ne ha risentito, ancora alla ricerca di un personaggio che possa riempirne il vuoto. Joe Mantegna aveva invece ottimamente preso il posto di Mandy Patinkin in «Criminal Minds» quando questi aveva dato forfait a inizio stagione 2. In «Homeland» l’assenza di Damian Lewis tre stagioni dopo la sua dipartita non la sente solo Claire Danes (e c’è chi spera sempre in una sua riapparizione: in fondo non era già restato sei anni in una segreta irachena?).
Sempre e solo restando tra i belli seriali, storica era stato l’addio anticipato di George Clooney da «E.R.», altra serie specializzata in defenestrazioni traumatiche: se per Clooney, ormai superstar, era stata un’uscita soft , molto più tragico era stato per Anthony Edwards, stroncato da un tumore al cervello, o per Paul McCrane, schiacciato sotto un elicottero. Ma forse nessuna serie come «Il trono di spade» ci ha abituati agli “abbandoni” radicali e inattesi: nella prima stagione venne decapitato Sean Bean, lo Stark capostipite, fino a quel momento personaggio nodale; con le “Nozze rosse” lo aveva seguito a breve giro il figlio maggiore Robb; e solo la benevolenza di R.R. Martin e un destino superiore hanno finora salvato Jon Snow: un “resuscitato”.
Adriana Marmiroli, La Stampa