Dopo tre anni di assenza, l’artista romana torna con il nuovo album ‘Oronero’: “Andavo in studio come una barbona, non deve esserci una regola per la creatività”
Sono passati tre anni da Senza Paura, il precedente album di Giorgia, ma sembra che sia passata una vita intera. Si, perché il nuovo lavoro della cantante e autrice romana, Oronero ci propone Giorgia sotto una luce differente. E’ come se il lungo guado che Giorgia stava attraversando, alla ricerca di una sua personale dimensione artistica, fosse ormai alle sue spalle: “Dovevo cercare la mia verità”, dice lei, “e mi sembra di esserci finalmente riuscita”.
Con l’ormai consolidata collaborazione di Michele Canova, Giorgia ha realizzato 15 tracce, dieci delle quali portano la sua firma, che sono un punto d’arrivo di un lungo percorso, che l’ha portata ad essere, oggi, più precisa, convinta, calibrata, diversa: “Mi sono finalmente resa conto che non dovevo più dimostrare niente a nessuno, che non dovevo sottopormi alla pressione di far vedere quello che so fare. La ricchezza di oggi è quella di tirare fuori quello che so fare sapendo che sarà unico. Non voglio assomigliare ai miei genitori, non voglio piacere al discografico o al giornalista, non voglio altro riconoscimento che il mio, il vuoto lo devo riempire da sola”. E così avviene in Oronero che è un album in bilico tra l’urgenza di scrivere cose personali e forti della Giorgia autrice, e quella di tirarle fuori con una vocalità, la sua, che resta intensa e scopre tinte scure del tutto inattese.
“Mi sono presa un bel po’ di tempo per prendere possesso dei brani, melodie che avevano quelle parole e non altre. Prima non era così, prima pensavo di dover piegare la parola a favore della nota, invece questa volta le parole hanno il loro giusto peso, pulite, chiare, senza aspettare il giudizio degli altri”. E infatti Giorgia canta con una libertà nuova, senza perdere intensità o stile: “A un certo punto è come se avessi ammesso a me stessa che in studio non ci so cantare, l’istinto che ho con il pubblico non ce l’ho quando sono in studio. Perché lì uso di più la mente, mi metto a pensare alla nota precisa, la posso riascoltare, e quindi penso che potrei farla in un altro modo e questo è un macello. Stavolta no, non è andata così, stavolta mi è sembrato di chiudere gli occhi e cantare senza pensare che ogni volta si trattasse della traccia buona, cantavo come se avessi il pubblico davanti, e ogni nota fosse quella giusta per quel momento, definitiva”.
E’ stato un lavoro lungo, fatto con particolare attenzione, dunque?
“Intanto io sono sempre al lavoro su di me, non sono mai contenta di quello che dico e faccio, voglio di più da me e il mio di più questa volta era essere me stessa fino in fondo. Certo, ho sempre la solita coscienza che mi ripete ‘non mi piaci’, ma adesso aggiunge ‘ma sei così’ e allora mi va bene. E’ stato un lavoro lungo quello di togliere quello che non mi appartiene: non ha senso ascoltare cose che mi piacciono e cercare di farle uguali, perchè non sono mie, io avevo invece bisogno di cercare la mia verità”.
E come ci è riuscita?
“Il trucco è stato quello di escludere, per una volta, la mia parte razionale, che è una parte attiva e forte della mia personalità, ma alle volte anche la mia peggiore nemica”.
Difficile vederla come una persona così razionale. Come fa a non vedere che la gente, quando lei canta, vibra…
“Non la vedevo, se c’erano cento o cinquemila persone davanti e tra gli applausi io percepivo che c’era uno, uno solo, che pensava ‘no, è fredda’, io mi concentravo su quello, razionalmente. Ho dovuto faticare molto per superare uno scoglio simile, per farmene una ragione, per capire che io ho il dovere di portare quello che ho fino al cuore della gente, poi se qualcuno non ‘vibra”, beh, non fa niente”.
E’ cambiato anche il suo modo di lavorare, dunque?
“La maternità lo ha cambiato radicalmente. Sono andata in studio come una barbona, con la tuta, i capelli sfatti, perché non può e non deve esserci una regola nella creatività. Quindi, con Samuel che va alle elementari, ho avuto la possibilità di avere le mattine libere, facevo tra i venti e i quaranta minuti di corsa e poi mi buttavo in studio, poi andavo a prendere Samuel a scuola, pranzo, poi la spesa, la cena, e mi sembrava sempre di buttare il lavoro della mattina. Poi è arrivato ‘quel’ giorno, in cui con tuta o pigiama, ti rendi conto di essere completamente dentro la musica, ti stacchi dal computer e ti rendi conto che il tempo non è stato buttato, che hai rimesso in circolo altre energie. E tutto ricomincia di nuovo”.
Che musica ha ascoltato mentre lavorava all’album?
“Mi sono un attimo staccata dalla musica del momento, mi metteva in crisi, ho ascoltato molto Michael Jackson perché lo ha scoperto mio figlio, ma riascoltandolo ho trovato cose di lui che mi erano sfuggite, nel canto, note che dovevano essere così, ogni singolo fiato, la spontaneità che ottieni con la ricerca. Poi tanta roba indiana, turca, araba, greca, una sorta di ritorno ad una parte delle mie radici perché è in Grecia che ho passato i miei primi anni di vita. E poi immancabilmente Aretha, che ho sempre bisogno di sentire, un viaggetto nelle cose soul più nere, meno pop. Certo, ho anche ascoltato cosa passava la radio, devo essere informata, ma l’ho ascoltata senza ansia, se qualcosa mi emozionava cercavo di capire perché”.
Tutto questo le è servito per cercare di uscire dal mainstream nazionale?
“Uscire dal canone non è mai facile, ma con Canova abbiamo scelto di lavorare in libertà, senza intermediari, io e lui a confrontarci. Ha saputo ascoltarmi, capire dove volevo andare, anche se voleva dire uscire dal canone. Questa volta ci siamo concessi la libertà, non abbiamo fatto sentire niente a nessuno fin quasi ai mix. Poi è logico che ci siano regole che tengo a rispettare, ma dove posso ho il dovere di tentare cose nuove, diverse”.
Soprattutto nel cantare: ci sono toni più scuri, uno stile diverso.
“Si, Oronero in particolare è in uno stile in cui non ho mai cantato. In generale c’è un altro assetto, non ho spazi larghi, ma ogni tanto mi concedo ancora qualche ‘ghirigoro’…”.
Sarà anche la maturità, una fase diversa della vita, che l’ha spinta a cambiare…
“Non puoi essere per sempre una ragazza, ti devi arrendere, devi cavalcare il tuo tempo e non desiderane un altro. Però è tosta mandare giù, non ti perdonano neanche una ruga se sei donna, ma se vuoi cantare cose vere devi essere te stessa nel tuo mondo. Ho 45 anni e vedo le cose da 45enne del mio tempo, non posso mentire in nome di una cosa che suona meglio”.
E questo le ha permesso anche di scrivere più da ‘cantautrice’.
“Volevo essere cantautrice, volevo che mi si riconoscesse, non volevo essere solo interprete. Ora non me ne preoccupo più, sono un operaio della parola al servizio della canzone”.
Ernesto Assante, La Repubblica