La figura di Roberto Calasso, scomparso stanotte poco dopo aver compiuto 80 anni, essendo nato il 30 maggio 1941, è di gran rilievo nel nostro panorama culturale, raffinata e, nel suo operare editoriale e letterario, complessa e forse per questo a volte controversa. Per il pubblico dei lettori il suo nome è legato alle scelte e la qualità di una casa editrice come Adelphi, da lui diretta dal 1971 e fondata nel 1965 con l’aiuto di personaggi come Luciano Foa e Bobi Bazlen, cui ha dedicato un libretto di ricordi appena uscito, e alla scrittura di libri impegnativi ma affascinanti come ”Le nozze di Cadmo e Armonia” del 1988, che ha superato le seicentomila copie, cui sono seguiti una ventina di altri titoli, oltre al romanzo ”L’impuro folle”.
Assieme alla notizia della sua morte arrivano in libreria anche due suoi nuovi volumetti: ”Bobi”, appunto dedicato a un’amicizia e a un rapporto intellettuale legato anche alla nascita della casa editrice, e ”Memè Scianca”, note sulla sua infanzia fiorentina in una famiglia di intellettuali di rilievo impegnati durante gli anni tragici tra guerra e dopoguerra. Non appare quindi un caso questo ritorno degli inizi, questo andare alle radici, ripreso dopo 70 anni da un primo tentativo autobiografico, come scrive lui stesso, annotando: ”Ciò che ci è più vicino ha bisogno di una via tortuosa per arrivare a mostrarsi”, una via che ha anche bisogno di tempo e più chiara quando il cerchio sta per chiudersi unendo il presente e il passato. Il passato è stato il suo tema di fondo, con i recuperi operati attraverso le scelte della casa editrice certo, ma soprattutto dei suoi libri che sono legati a un passato mitico e storico, occidentale e orientale, rivelandosi però un tentativo culturalmente personalissimo di decifrare il mondo, così che se ne possa anche intravedere il presente attraverso una narrazione letteraria che è stata definita allegorica. Calasso è figlio dei suoi maestri, più volte ribaditi, da Nietzsche a Adorno, da Kafka a Karl Krauss e Walter Benjamin, ma come ha scritto Citati: ”ha attraversato la loro opera, se ne è nutrito fino alle minime cadenze dello stile e della punteggiatura, solo per dimenticarli. Se tutto nella sua mentalità e nella sua educazione lo predisponeva ad essere un saggista filosofico, il caso, gli astri o altri libri hanno voluto che egli diventasse molto di più: uno scrittore”. Ecco ”Le nozze di Cadmo e Armonia” in cui gli Dei scendono tra gli uomini per partecipare all’evento e nel racconto si inanellano e legano racconti come il rapimento di Europa da parte di Zeus o l’abbandono di Arianna a Nasso da parte di Teseo, la vita a Atene e Sparta e tanto altro con personaggi che vanno da Achille a Oreste, da Pentesilea a Demetra, sino a Ulisse. E Calasso annota: ”Da secoli si parla dei miti greci come se fossero qualcosa da ritrovare. In verità sono quelle favole che aspettano ancora di risvegliarci ed essere viste, come un albero davanti all’occhio che si riapre”. Un narrare intrecciando storie e epoche, sovrapponendo piani temporali, tanto che Calvino, a proposito de ”La rovina di Kasch”, affermava che il libro ”tratta di due argomenti: il primo e Talleyrand, il secondo è tutto il resto”, ieri, oggi, il mondo. Se quindi c’è chi ha accusato Calasso di rifugiarsi nel passato evitando il presente, ecco che la studiosa Elena Sbrojavacca dichiara che ”Calasso è affascinato dalla modernità, sempre al centro dei suoi interessi. La modernità è per Calasso il tempo della ‘Letteratura dell’assoluto’ (come intitola il saggio che gli ha appena dedicato), cioè il tempo in cui la letteratura investe lo spazio lasciato vuoto dal tramonto del sacro, dei riti, e diventa un’alternativa alla nuova religione costituita dalla società”. Per queste ragioni i suoi libri sono sempre opere complesse e, pur avendo quindi ognuno un tema o un personaggio centrale, è difficile dire nel particolare di cosa parlino non perché divaghino ma per quel seguire una logica interna che non conosce confini, con un discorso che ne attira un altro e gioca per rimandi e sovrapposizioni. Ed questo che permette all’autore di dire che tutti i suoi libri sono capitoli di un’unica opera, che assomiglia a un albero che cresce e si dirama in molteplici e imprevedibili direzioni, da i due titoli citati a ”Ka” (1996), in cui affronta i Veda indiani e Budda, a ”K.” (2002) sull’opera di Kafka; da ”Il rosa Tiepolo” (2006) sul pittore a ”Il Cacciatore Celeste” (2016), sino a ”Il libro di tutti i libri” (2019) per citarne alcuni, oltre ai saggi letterari de ”I quarantanove gradini” (1991) che inizia proponendo la tesi di Nietzsche su ”come il ‘mondo vero’ finì per diventare favola”, e si conclude con un intervento su quel terrore delle favole che sta sul fondo della disputa teologica di Platone contro Omero e ancora oggi opera fra le quinte della nostra mente. La camera ardente di Calasso sarà allestita domani nella sede della sua Adelphi, a Milano, che con il sindaco Beppe Sala piange “un pilastro sui cui la nostra comunità può costruire il futuro”. Dal ministro Dario Franceschini al presidente dell’Aie Ricardo Franco Levi, il mondo della cultura rende omaggio a un intellettuale che ha segnato il ‘900, “figura carismatica e coraggiosa” nel ricordo del Salone del Libro. “Per noi che rimaniamo qui, orfani di te e figli dei tuoi libri, rimarrai nella Mente. Come dicevi tu”, dice Elisabetta Sgarbi.
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