“Sa, io ho vissuto con Balzac, con Proust. Che privilegio, a ripensarci. Per motivi razziali fummo costretti con la famiglia a riparare in Svizzera, e mentre poi infuriava la guerra io non ho fatto altro che assorbire libri e libri di autori in special modo francesi. Mi sono imbattuta in opere che trasmettevano forza d’animo, una vera coscienza d’essere viva. Ma guardi che non sono esterofila. Molti detestano i cosiddetti pilastri della nostra cultura, e io, che pure ho cercato sempre di contagiare il buon umore, il sorriso e il piacere della comicità, già a scuola adoravo Dante e Manzoni, e aspettavo con ansia l’ora di lettura per godermi le loro pagine, la bellezza della loro tecnica del pensiero. È da questi grandi che ho imparato a scrivere, è a loro che devo la capacità di immediatezza dei miei racconti, dei miei testi teatrali, per i quali mi sono di fatto ispirata anche a un’umanità semplice che osservavo di continuo, che ascoltavo rubando con la gioia d’avere modelli quotidiani a portata di mano” confida con raggiante e composto entusiasmo Franca Valeri, mentre dirige i suoi occhi verso la mia voce non vedendomi. Muove con parsimonia le sue mani curatissime su cui è impresso un solido e fantastico smalto bordeaux, ferma con fatalistica pazienza sulla sua sedia, pettinata con cura solerte e garbata in un abito che è davvero armonioso, in compagnia di due gatti da concorso e del cane Rorò (un Cavalier King Charles) nell’accogliente salone d’ingresso della sua storica casa romana al Fleming, a pochi giorni al novantottesimo suo compleanno che ricorre il 31 luglio.
Sa, un attore comico ha la fortuna di fare affidamento su compagni simpatici: i propri personaggi e, quando succede, i propri colleghi di lavoro. Figuriamoci io che ho avuto la fortuna straordinaria d’avere accanto, anche come marito per quindici anni, uno come Vittorio Caprioli, godendo all’inizio giorno per giorno dell’esperienza artistica del Teatro dei Gobbi con Alberto Bonucci e poi con Luciano Salce. Un sodalizio che m’ha spinta a buttar giù copioni, a comporre dialoghi, ad assumere un ruolo da compositrice, aprendomi pure una strada nel cinema, da sceneggiatrice”. Ha scritto sempre, Franca Valeri, ha scritto parti da interpretare, ha scritto volumi da sfogliare, ha scritto per film da godersi e da riscoprire, ha scritto nel 2010 una (parziale) autobiografia che è Bugiarda no, reticente (“Diceva così mia madre, di me, avendo capito benissimo che parlavo tanto ma non dicevo mai tutto”), e sta scrivendo adesso a quasi cent’anni la sua ennesima commedia ancora incompiuta, e il suo prossimo libro ben annunciato, ben strutturato, ben titolato (Il secolo della noia), ben portato avanti.
“Il gran rammarico è quello di non avere più rapporti con la calligrafia, con la stesura materiale delle idee, ma supplisco dettando le pagine a generose assistenti. D’altronde è quasi più grave la rinuncia forzata alle letture, perché lo stato della mia vista m’ha privato d’ogni autonomia. Una faccenda insopportabile, per una come me abituata perennemente a consultare, scorrere, ottenere un’intima compagnia dalle letterature di tutti i tempi. Devo tutt’al più far ricorso ad altri affinché leggano per me”. Ci tiene a precisare che questa perdita d’indipendenza non alimenta alcuna sfumatura autoritaria nei suoi comportamenti. “Sono sempre stata ordinata, mettevo a posto tutto il più possibile da sola, e ora che non distinguo e non sono più mobile sarò diventata tutt’al più un po’ pretenziosa, ma mi circondo di giovani come Simone, che mi accudisce, mi accompagna. L’ipotesi di due vecchie, io e un’altra signora badante? No davvero”.
La lontananza che avverte di più è quella del teatro. “Ho il beneficio di una testa che funziona incessantemente, ma il mio corpo non mi permette di abitare un palcoscenico come ho fatto per tutta la mia vita. Sono due anni che non recito. E mi manca, mi manca tantissimo. L’ultima volta, nel mio testo Il cambio dei cavalli facevo un personaggio seduto. Ora sono tentata di includere un cammeo che mi faccia ritornare anche per un tempo limitato sotto i riflettori, sempre come donna seduta, nella commedia che ho quasi finito”. Che fenomeno senza limiti, questa artista: la stiamo incontrando, senza enfatizzare la cosa, per uno dei suoi formidabili traguardi anagrafici, ma potremmo, anzi possiamo parlare con lei nelle sue vesti di attivissima autrice della scena e della cultura su carta. “Per il teatro ho quasi terminato di mettere a punto un copione, Le mamme alte, pensando a potenziali attori amici. Una delle due madri di bella statura dovrebbe poter essere Orsetta de Rossi. Poi c’è un comune figlio adottivo, nei cui panni immagino Urbano Barberini, a sua volta genitore di un bambino che fa di nome Mario, un nome poco moderno (il caso vuole che nella vita reale Barberini, sposatosi ad aprile, sia dal mese scorso padre di un neonato battezzato Maffeo, ndr). E c’è la figura di una ragazza. La messinscena vorrei che l’accettasse Stefania Bonfadelli, già cantante lirica e ora regista, mia vera figlia adottiva. Lo so che è difficile produrre un nuovo spettacolo. E mi rendo conto di avere un potere attrattivo meno militante del passato”.
Se ci spostiamo sul tema del libro in cantiere Il secolo della noia, affiorano amarezze e speranze. “Le confesso che con questo ritratto dei primi diciotto anni del terzo millennio avrei voluto raccogliere e diffondere certi meccanismi inclini a suscitare le risate cui io per natura tengo molto, e però riflettendo su ciò che incombe su di noi dall’anno 2000 a oggi non ho trovato contributi geniali, tendenze piacevoli, valori divertenti. Il Novecento, anche se ha avuto cadute drammaticissime, ha offerto occasioni assai più illustri e fondative. Non sono malinconica, ma piuttosto pessimista. Nel libro non metterò nomi e cognomi, ma tratterò condizioni umane, citerò argomenti sociali, richiamerò delusioni culturali. L’assenza di traguardi e di orizzonti può preoccupare. Ma niente esclude che nascano prospettive ora impensabili”.
Se non è la civiltà del 2000 a entusiasmarla, è il teatro a garantire sempre una misteriosa gioia a Franca Valeri. A riprova di questo, il suo ultimo sforzo letterario La stanza dei gatti, edito da Einaudi l’anno scorso, elegge il teatro a persona, a personaggio che non tramonterà mai. “Moriva Carlo Magno, moriva Ermengarda… Sono secoli che la gente muore. Lui mai”. “Il teatro è anche più forte dell’amore, nella tua vita prenderà un posto più importante di qualsiasi uomo. Forse anche di un figlio”. “Renata, la mia donna di servizio che la sera faceva la guardarobiera al teatro Valle, quando entrava in casa per me entrava il teatro”. Ma l’aneddoto più spassoso, proprio ridanciano, è quello che lei stessa ripete a voce, su Gino Cervi. “In tempi passati si imparavano quattro o cinque commedie per recitarle una dopo l’altra. Il suggeritore suscitava episodi comici. Gino Cervi, attore bravo e spiritoso, gli parlava senza che il pubblico se ne accorgesse. Gli diceva: ‘Ma sei sicuro? Mi pare che ieri dicevo un’altra cosa. Va bene, va bene, come vuoi tu’, e i compagni di scena morivano dalle risate”.
La politica e il teatro non l’hanno mai persuasa d’un buon rapporto. “Una serata con alcuni politici in platea è certamente una serata disgraziata: è gente che da una parte è colpevole verso il teatro, dall’altra pensa a tutt’altro”. Se deve ricordare un artista collega, ricorda istintivamente Alberto Sordi. “L’ho adorato. Lui recitava per conto suo. Eravamo a contrasto. Perfetti”. Ma non a caso un suo dolcissimo ed esemplare libro del 2005 è intitolato Animali e altri attori. “I gatti eccitano la mia fantasia. Tra i cani, Rorò è una persona, è presente, si accorge di tutto. Sopportano le cose dell’uomo. Sono fiera di aver creato una Franca Valeri onlus per accogliere i randagi a Trevignano, e di portare avanti una pubblicazione per loro, La repubblica delle code, che ora circola solo online”.
Siamo riusciti a non parlare mai del suo compleanno, avendo io intuito la sua allergia ai festeggiamenti, anche se il 31 luglio sarà ospite d’onore al Festival Tivolichiama di cui è madrina (promosso da Barberini in veste di assessore alla Cultura), a Villa d’Este, per Auguri Franca, con gli amici Urbano Barberini, Pino Strabioli, Orsetta de Rossi, Paola Minaccioni, Edoardo Albinati, Francesca D’Aloja, Gabriella Franchini, Cinzia Mascolo, Daniela Terreri. “Vede, mia madre ci proibiva che ricordassimo la scadenza del suo compleanno, e l’unica scappatoia era quella di farle un regalo per il suo onomastico, per Santa Cecilia”.
Rodolfo Di Giammarco, Repubblica.it