Viaggio nella Sicilia di Franco Battiato

Viaggio nella Sicilia di Franco Battiato

Dal mercato del pesce di ‘Giubbe Rosse’ al cinema all’aperto di ‘Summer on a Solitary Beach’, fino ai “bummi” di ‘Veni l’autunno’, un racconto fotografico dei luoghi e delle storie nascoste nelle canzoni del maestro

ll cimitero di Riposto, in provincia di Catania, si sviluppa sulla direttrice est-ovest: la nascita e la morte. Dal centro del campo antico, circondati da una folla di angeli e madonne bianche, resi incandescenti dalla luce del sole siciliano, si vede il mare luccicante, inquadrato nel portone a volta dell’ingresso. Esattamente dal lato opposto, adagiata e maestosa, l’Etna, così vicina nell’aria tagliente da poterla toccare. Qui sono state tumulate le ceneri del maestro Franco Battiato, scomparso il 18 maggio 2021.

Prima che Riposto avesse il porto era allo “Scariceddu”, piccolo scalo in dialetto, che le merci venivano scaricate. Un quartiere di pescatori, con case basse di massimo due piani, “giardini con pozzi antichi” e terrazze che abbracciano l’orizzonte, tutto miracolosamente scampato alla brutale speculazione edilizia degli anni ’60. Franco Battiato è nato qui, il 23 marzo. Il nome della via sulla targa è ancora quello in vigore fino al 1945, anno di nascita del maestro, quando le città di Riposto e Giarre erano fuse insieme in un agglomerato chiamato Ionia. «Oggi lei lo vede così ma questo è un angolo di paradiso». Il signor Mario si riferisce alla “rina” che in questi giorni ricopre i vicoli del quartiere. La polvere dell’Etna piove dispettosa dopo aver spazzato, una “camurria” che chiunque viva sotto il vulcano maledice e, in fondo al proprio cuore, considera il segno di un miracolo.

Anche lo Scariceddu, come il cimitero, è costruito sulla stessa direttrice, naturale per chi è nato qui: est-ovest, mare da un lato, vulcano dall’altro. Così, di fronte al porto di Riposto, è stata costruita la stazione della “littorina”, la Circumetnea, il treno a gasolio composto di massimo due carrozze che corre lungo la circonferenza del vulcano. I treni a gasolio sono più piccoli del normale, viaggiano su binari diversi e si arrampicano su terreni impervi e meravigliosi: “la sciara delle ginestre esposte al sole” e la lava più recente, dove la vita non è ancora tornata: lingue nere o rocce più piccole che si sbriciolano sotto le suole delle scarpe. I treni sono fermi, la maggior parte chiusi dentro le rimesse porpora. La linea ferroviaria tra le stazioni di Giarre-Riposto e Randazzo è interrotta a causa di lavori, riprende sul versante nord del vulcano per terminare a Catania.

“Scendendo” verso il mare, sulla sinistra, si incrocia via Gramsci, una strada stretta, ricoperta di basole, la tipica pavimentazione in pietra lavica. Tra “balconi traboccanti di gerani” e foreste di pomelie che li guardano di rimando, si arriva davanti al muro a calce e colori pastello dell’Arena Giardino. «Questo è un luogo storico di Riposto», dice un passante «ci venivamo perché aveva delle sedie di metallo, così guardavamo il film e ci prendevamo il fresco». Accanto al cinema all’aperto un’abitazione è stata adibita a oratorio. La foto di Don Bosco guarda benevola dal terrazzino. «Da lì Franco Battiato si affacciava a guardare i film senza pagare il biglietto, lo fanno ancora adesso». Giovanni sorride e poi riprende a raccontare, «ha trascorso in questa casa gli anni dell’adolescenza, fino ai 18, quando si è trasferito a Milano».

Giovanni Ammendolia è il nuovo gestore dell’arena, l’ha rilevata due anni fa, salvandola da morte certa. «Non ero molto convinto di prenderla in gestione, ma insieme a mia moglie abbiamo deciso di provarci, per noi è importante che continui a esistere. Mio padre è nato cinque giorni dopo Franco Battiato, abitavano uno di fronte all’altro allo Scariceddu, sono cresciuti insieme. Le madri li prendevano in braccio a vicenda e poi sono diventati due bambini che giocavano insieme al vallone di Scammacca, qui dietro, andando a caccia di lucertole».

Il mare scintilla riflettendo i raggi bassi del sole che sorge, l’aria è fresca ma la luce accecante promette una giornata rovente. Il lungomare di Riposto è quasi deserto, incastrata sotto piazza San Pietro, di fronte al mare, c’è piazza del Commercio. Il mercato del pesce è un edificio ad angolo, l’ingresso principale è sostenuto da colonne, le alte vetrate e la balaustra di pietra bianca la rendono simile a una cattedrale nella fantasia di un bambino.

Un tempo si faceva fatica a camminare, stretti tra venditori urlanti, pesci che guizzavano ancora vivi sui banchi, cozze che sputavano acqua e lumache che cercavano di salvarsi la vita con fughe rocambolesche. Oggi il mercato appare più piccolo di quel tempio del passato e quasi abbandonato. Un declino forse inesorabile lo ha travolto. Sono rimasti un gruppo di anziani a chiacchierare in un angolo e pochi pescivendoli insieme ai verdurai. «‘Na vota (una volta) era tutto pieno di bancarelle, non c’era spazio per passare. Tutti, da Riposto a Giarre, venivano a fare la spesa qui. Adesso siamo rimasti solo noi, in più, con il Covid, bisogna mantenere le distanze ed evitare gli affollamenti». Un’ombra di malinconia potrebbe insinuarsi nella luce di questa giornata, ma non lì, i pescatori sono abituati a ben altri problemi. Una battuta e la risata collettiva rimbomba contro il soffitto, per un attimo il mercato riprende vita, come quello di tanti anni fa.

Fa caldo, troppo caldo, in giornate così o si va a mare o si “acchiana” (sale) in montagna, come viene chiamata qui l’Etna. Da Riposto, guidando verso nord, si costeggia un lungo tratto di spiaggia bianca e poco popolata, protetta dal rumore della strada da un boschetto di eucalipti. Cambiano i nomi: Fondachello, Marina di Cottone, la riserva naturale di Fiumefreddo, ma resta sempre la stessa faccia; a beautiful summer on a solitary beach. Prima di entrare alla riserva la strada curva verso ovest, inizia la salita.

I paesi etnei, a volte, sono strade di collegamento con case sparute su un lato e, di fronte, uno strapiombo. Altri, invece, assumono forme astratte, si sviluppano su dislivelli come “voli imprevedibili e ascese velocissime”, strade che si intrecciano senza logica evidente in “traiettorie impercettibili” forse “codici di geometrie esistenziali”. È il caso di Sant’Antonino, una frazione di Nunziata di Mascali. Oggi è la festa del patrono, la chiesa ha sedute contingentate, alcuni fedeli sono inginocchiati sui gradini di pietra lavica del sagrato. Quasi cento anni fa il paese è stato lambito dalla lava, «tutti si aspettavano che sarebbe stato travolto e invece siamo stati risparmiati grazie all’intervento del Santo. È stato costruito un altarino dove la colata ha cambiato direzione».
Un devoto si aggira nella piazza per assicurarsi che tutto sia pronto. La messa è finita, alcuni fedeli si avvicinano all’altare e lo scalano, la statua di Sant’Antonio viene rimossa e portata in processione fino all’ingresso della chiesa, sulla piazza. Di fronte una batteria di “bummi”, i fuochi d’artificio, salutano il patrono. “Sparano i bummi supra a Nunziata”, come nella canzone, e poi “tutti appresso u Santu nda vanedda”. Non è cambiato niente, “Sicilia bedda mia, Sicilia bedda”.

Dopo gli anni milanesi il maestro aveva eletto Milo, un borgo a 720 metri sul livello del mare, a propria dimora. Per gli abitanti della zona il paese si era ricoperto di un’aura mistica e, allo stesso tempo, era rimasta la città del vino patronale e delle sagre di fine estate. Forse era così Franco Battiato, come sembra emergere dalle battute scambiate con chi gli è stato sempre vicino.

Angelo Privitera, storico tastierista e, prima ancora, amico intimo del maestro, siede a un tavolino sulla piazza di Milo, ha occhiali neri e una camicia bianca. «Ci ammazzavamo dalle risate, non te lo saresti mai immaginato. Ridevamo e scherzavamo di continuo». Alto e popolare, allo stesso tempo, era stato capace di compiere il miracolo con la sua musica. «Ogni tanto parlava in dialetto sui palchi durante le prove dei concerti, citava la cabala accanto ai “bisogni” dei carrettieri, senza che le due cose fossero in contrasto». Cambiava sempre per restare sempre fedele a se stesso,”che voglia di cambiare che c’è in me”. «Era estremamente legato alla Sicilia e alle sue radici. Facevamo lunghe passeggiate in auto sull’Etna e nei luoghi che citava nei suoi brani. Guardati intorno, siamo immersi nelle sue canzoni».

In un’intervista rilasciata a Repubblica nel 2012 Franco Battiato sostiene che «Gli umani esistono ma non muoiono, come si pensa, ci si trasforma. Sto lavorando per essere degno del passaggio da una dimensione all’altra». Adesso le sue ceneri si trovano a Riposto, dieci minuti a piedi del quartiere Scariceddu, 800 metri da dove tutto è iniziato. In che cosa si sarà trasformato non lo sappiamo: forse nel “fuoco incandescente del vulcano” oppure nelle “mille bolle blu”.

rollingstone.it

Torna in alto