Eʼ uscito a mezzanotte lʼatteso nuovo album della popstar. Un disco leggero nei suoni e nelle atmosfere, con testi che però lasciano trasparire ferite e sofferenze personali
“Benvenuti a ‘Chromatica”. Adesso ballate motherf*uckers!!!!”. Così Lady Gaga ha ufficialmente lanciato con un post su Instagram l’uscita del suo sesto album in studio. Un lavoro che era previsto qualche mese fa e che è stato rinviato per l’esplosione della pandemia di coronavirus. Ora “Chromatica” ha visto la luce ed è per la cantante un ritorno alla dance pop delle origini. Brani up tempo, leggeri ma che nei testi lasciano trasparire dolori e ferite.
Per Gaga è l’ennesimo ribaltone stilistico in una perenne ricerca di pace che probabilmente più che ancora che nel suo personaggio e ruolo artistico affonda nella sua persona. In questi anni è stata continuamente sull’otto volante: l’esplosione con la dance pop, il passo falso di “Art pop” (ma quanto andrebbe rivalutato oggi?), il rifugiarsi prima nel jazz classico insieme a un mostro sacro come Tony Bennett (“Cheek To Cheek“) e poi l’album che non ti aspetti, “Joanne” con echi country e acustici, guidata dal mastermind Mark Ronson. E poi ancora l’Oscar con “Shallow“.
Per molti sarebbe apparso normale proseguire quindi su quella strada, che ha portato premi e una credibilità artistica che prima sembra esserle negata. E invece nemmeno per sogno. “Chromatica” è una doppia capriola all’indietro. Nei sedici brani, tre dei quali sono interludi strumentali sinfonici, Gaga sembra tuffarsi nella dance più leggera come chi si butta in pista a scatenarsi nel ballo per non pensare. Non ci sono ballad, non ci sono fughe in mondi diversi come il rock e o il blues, che pure c’erano in album come “Born This Way“. Persino i featuring sulla carta più crossover, come quello di Elton John in “Sine From Above” sono pensati per portare l’ospite nel mondo di Gaga e non viceversa.
Il faro qui sono gli anni 90, soprattutto nei suoni, messi insieme da una pattuglia, fin troppo nutrita, di produttori di primo livello. Non ci sono grandi novità in “Chromatica” e, ahimè, in molti casi mancano i ritornelli killer che hanno caratterizzato i successi più clamorosi di Gaga nel passato. C’è un lavoro omogeneo, rotondo, che non esce quasi mai dai binari. E quando lo fa scatta la scintilla. Come in “911“, uno dei pezzi più anomali dell’intero pacchetto. Non solo il passaggio da “Chromatica II” che lo precede è uno degli snodi chiave da un punto di vista musicale, ma il brano è uno dei più rivelatori del tema diffuso nel disco. Perché andando oltre i suoni platicosi e i colori pastello si può trovare nei testi delle canzoni un peso dell’album che altrimenti sfuggirebbe. Così in “911” Gaga canta “il mio più grosso nemico sono io, il pop è un 911” con riferimento a degli antipsicotici che prende regolarmente. “Lo faccio perché non posso sempre controllare le cose che fa il mio cervello – ha spiegato in una intervista con Zane Lowe -. Lo so questo e devo prendere delle medicine per interrompere quel processo”.
C’è una linea, nemmeno troppo sottile che partendo dal brano di apertura, “Alice” (“Il mio nome non è Alice ma continuo a cercare il mio paese delle meraviglie”), corre attraverso la pioggia salvifica di “Rain On Me” (“Sono quasi prosciugata ma almeno sono viva”), sostanzia l’affermazione di indipendenza di “Free Woman” (“Sono qualcuno anche senza una mano forte. Sono una donna libera”) e porta alla luce l’anima all’interno della “Plastic Doll” (“Non giocare con me, mi fa solo male”). Per arrivare al dialogo tra la Gaga artista e la persona che prende corpo in “Replay“, musicalmente una hit potenziale ma dal punto di vista lirico l’esposizione senza veli delle ferite di questi anni: “Il mostro che è dentro di te mi sta torturando” canta prima Gaga per poi arrivare a immagini forti come “Ogni giorno mi scavo la fossa e mi ci siedo dentro / chiedendomi se mi comporterò bene”. E ancora: “E’ un gioco a cui gioco e odio dirlo / Sei la cosa migliore e peggiore che mi sia capitata”.
Alla fine “Chromatica” è davvero un mondo pieno di colori, spesso sfacciatamente accesi per nascondere qualcos altro. E’ un lavoro dove non sempre l’ispirazione è quella dei tempi migliori e dove ogni tanto il troppo rischia di essere dannoso. Ma anche un album da non liquidare semplicisticamente, perché il meglio lo racchiude nelle pieghe più nascoste. Sicuramente cementa oltremodo il legame con la fanbase più fedele, sia per il ritorno a una certa estetica sia per la sincerità dei testi. Il grande pubblico occasionale potrà fermarsi al motivetto del singolo di turno oppure accettare la sfida e concedere un atto di fiducia e apertura. Che in fondo è quello che Gaga sembra chiedere da tempo.
Tgcom24