Guardando l’intervento di Franco Di Mare a Che tempo che fa, vengono in mente le parole di Susan Sontag in uno dei saggi più toccanti mai scritti, “La malattia come metafora”, in cui discuteva delle percezioni sociali delle malattie decenni fa. Da una parte, c’erano le malattie “nobili”, come la tubercolosi, considerate un male dignitoso e accettabile moralmente per secoli. Dall’altra, c’erano le malattie terribili come il cancro, viste con biasimo e commiserazione poiché cresce e si sviluppa dall’interno.
Anche oggi, a distanza di anni, sembriamo ancora lottare nell’affrontare le persone affette da quest’ultima categoria di malattie. Sembriamo non sapere come trattarle e la paura di dire qualcosa di sbagliato ci porta ad allontanarle, cosa che non possiamo più permetterci. Lo vediamo nella vita quotidiana e anche in televisione, quando un professionista come Franco Di Mare, un pilastro dell’informazione Rai, ha condiviso apertamente di essere affetto da un mesotelioma allo stadio terminale e ha scritto un libro, “Le parole per dirlo”, in cui condivide cosa ha imparato dalla diagnosi improvvisa: apprezzare le piccole gioie che spesso diamo per scontate.
In un momento così delicato, Franco Di Mare è apparso lucido e sincero nel raccontare la sua malattia, mostrando una serenità nell’accettare la sua fine. Ma ha anche rivelato un dolore che ha portato per troppo tempo con sé: essere stato ignorato dalla Rai dopo essere stato colpito dalla malattia. “Tutta la Rai, dopo la scoperta della malattia, si è dileguata. Tutti i gruppi dirigenti. Io posso capire che esistano delle ragioni di ordine sindacale, legale. Ma io chiedevo alla Rai lo stato di servizio, che è un mio diritto. Io volevo chiedere: ‘Mi fate un elenco dei posti dove sono stato? Perché così posso chiedere cosa si può fare’. Sono spariti tutti. Quello che capisco meno è l’assenza sul campo umano. Quelle persone a cui davo del tu sono sparite, si negavano al telefono. A me. Io davanti a un atteggiamento del genere trovo solo un aggettivo: è ripugnante”, ha detto Di Mare in diretta.
La sua rabbia per essere stato ignorato e non considerato non riguarda solo lui, ma riflette qualcosa di più profondo nella nostra società. Riflette un mondo in cui una persona malata sembra non contare più come quando è in salute, come se l’avvicinarsi alla morte potesse toglierle il valore della vita. Vedere Franco Di Mare affrontare questa amarezza è stato doloroso da condividere, anche per coloro che non hanno mai sperimentato la malattia, perché parla di umanità, empatia e solidarietà, concetti che non dovrebbero dipendere da burocrazia ma che sono sempre fondamentali per distinguere le persone buone da quelle cattive.