Ettore Andenna, conduttore del celebre Giochi senza frontiere, è intervenuto ai microfoni de “L’Italia s’è desta” condotta dal direttore Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano.
Su Giochi senza frontiere. “Non c’è bisogno di chiedere il permesso a me, basta che lo rifacciano perché è richiesto a gran voce non solo in Italia, ma in tutta Europa –ha affermato Andenna-. So che la Rai ha i diritti del titolo originale fino al 7 luglio 2020, però dice che costa troppo rifare il programma. All’epoca la Rai produceva i programmi, adesso li fa produrre da esterni. Se ti affidi a un produttore esterno, quello deve misurarsi con altre 7-8 produzioni stranieri, quindi c’è un budget che viene stabilito e controllato dall’Eurovisione e il produttore esterno dice: io che ci guadagno? Oggi con le nuove tecnologie sarebbe molto divertente, perché si potrebbe mettere una telecamera su ogni atleta per vivere il gioco in prima persona”.
Sulla conduzione: “Se mi regge il fisico… Io fra un mese e mezzo faccio 73 anni. All’epoca non ci rendevamo totalmente conto che si trattava di un programma che avrebbe fatto la storia della tv, mi rendevo conto di stare dentro a un progetto e di viverlo. Non potevi condurre Giochi senza frontiere se non li vivevi, se non facevi parte della squadra, se non ti informavi sulle difficoltà del gioco, dovevi viverlo e divertirti”.
“Noi da una settimana all’altra passavamo dall’albergo 5 Stelle alle tende in Repubblica Ceca. Io per qualche anno sono stato presidente dei presentatori, eletto dai colleghi, e si andava a mangiare tutti insieme, era bello perché uno parlava in francese, l’altro rispondeva in inglese, ma ci si comprendeva tutto. Gli atleti dei vari Paesi venivano scelti dalle produzioni e c’era una grande bagarre. I portoghesi cominciavano le selezioni a gennaio, con delle prove pazzesche, venivano infilati nei barili con l’acqua gelata per vedere se resistevano. Gli ungheresi portavano i campioni di triathlon e pentathlon con le carte d’identità false, perché per loro perdere a Giochi senza frontiere era da interrogazione parlamentare.
L’Italia perdeva sempre: “Non è vero, è che quando perdevamo lo facevamo rovinosamente. Nel 1993-94 eravamo primi nell’arco delle 12 puntate. Una volta ci fu una squadra della Basilicata che arrivò ultima alle prime tre gare, allora mi inventai il commento al contrario, anziché dire: vinciamo la prossima, dissi: adesso ragazzi dovete essere coerenti e arrivare ultimi anche alla quarta gara. All’ultimo gioco stavano per arrivare ultimi, ma cadono i francesi davanti a loro e allora dissi: non è possibile, ora perdete la possibilità di vincere la maglia nera. Sono stato odiato da quel paese della Basilicata, ma il commento passò alla storia perché la gente si divertì, io dovevo preoccuparmi anche degli altri telespettatori. Se si è mai fatto male qualcuno? A memoria mia, negli ultimi 7 anni, ci fu una caviglia rotta a Torino e un dito rotto in Francia, ma non per colpa del gioco, per colpa della sciocchineria del concorrente che ha voluto buttarsi giù da 5 metri per guadagnare tempo. Si avvertiva la complicità, quando arrivavano le squadre erano tutti amici, si divertivano tutti insieme, non sapete quanti amori transnazionali sono nati tra gli atleti di una squadra e dell’altra. Io una volta ho fatto una battuta: ha unito l’Europa più Giochi senza frontiere che la Comunità europea”.
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