L’industria della musica comincia a fare i conti, tutti con segno meno, con il coronavirus. Un quadro che preoccupa tutto il settore, dagli eventi live alla discografia. E i primi dati elaborati, mettono a fuoco una crisi che rischia di mettere in ginocchio la musica e tutto quello che le gira attorno per parecchi mesi.
“Gli spettacoli dal vivo sono i primi ad essere stati fermati e saranno gli ultimi a ripartire – evidenzia Vincenzo Spera, presidente di Assomusica -. Fino al 3 aprile, data della fine dei primi provvedimenti, abbiamo calcolato che sono stati sospesi circa 3mila concerti: il 60% è stato riprogrammato, il 17% stato annullato, con una perdita di circa 40 milioni. Ma è chiaro che si andrà avanti e la stima prendendo come riferimento fine maggio è di 4.200 eventi saltati con una ulteriore perdita di altri 23 milioni, che porterà il totale a 63 milioni di perdite in poco più di due mesi per il solo settore del live”, che muove mediamente in un anno 500 milioni. Senza considerare quello che potrà succedere da giugno in poi, quando il cartellone è fittissimo e in programma ci sono i grandi concerti negli stadi o all’aperto e i festival in tutta Italia. “Le stime inglesi parlano di un ritorno alla normalità nel giro di un anno e alcuni stanno riprogrammando direttamente per il 2021”, è la considerazione di Spera.
Oltre alle perdite dirette, vanno calcolate anche quelle legate all’indotto, che possono essere stimate in non meno di 100 milioni di euro.
Ma è anche la discografia a guardare con preoccupazione quello che sta succedendo. Con i negozi chiusi, molte pubblicazioni rimandate a dopo l’estate e sale di registrazione inaccessibili, il quadro assume contorni molto negativi.
La FIMI, la Federazione dell’Industria Musicale Italiana sottolinea come i cali sul segmento fisico (CD e vinili) siano già “di oltre il 60%, sui diritti connessi di oltre il 70% (dovuta alla chiusura di esercizi commerciali e all’assenza di eventi) e sulle sincronizzazioni in grave sofferenza”.
Il 2019, secondo i dati IFPI, aveva mostrato una crescita dell’8%, la più elevata da cinque anni, per un valore di 247 milioni di euro. “Quest’anno rischiamo di avere introiti in meno per 100 milioni. Soffre anche lo streaming – nota il presidente di FIMI, Enzo Mazza – in difficoltà a causa dell’assenza di nuove release, che solitamente fanno da traino agli ascolti, e della scarsa mobilità dei consumatori (secondo i dati IFPI, in Italia il 76% di chi ascolta musica lo fa in auto, e il 43% nel tragitto casa-lavoro)”. La produzione italiana (che ha rappresentato l’87% degli album più venduti nel 2019, tra le percentuali di repertorio nazionale più elevata nel mondo) è quella che potrebbe soffrire di più dallo stato di crisi. “Con sale di registrazione ferme, concerti e tour bloccati, l’impatto su tutta la filiera dei creativi, dei tecnici di studio e dei lavoratori del settore potrebbe essere devastante”. “Per molti segmenti – conclude Mazza – si può pensare a un calo tra il 30% e il 50% a fine 2020”.
Ancora più drastico Claudio Ferrante, fondatore e presidente di Artist First, , società di distribuzione discografica: “Per l’industria musicale italiana nei prossimi mesi la perdita economica potrebbe arrivare a 200 milioni di euro, un calo dovuto principalmente all’annullamento forzato delle uscite discografiche, al blocco totale dei live e degli spettacoli, ai mancati incassi SIAE, al bacino di sponsor legati ai numerosi Festival italiani che restano alla finestra, allo slittamento dei lavori per i moltissimi freelance della musica, che siano musicisti o professionisti addetti ai lavori”.
Quello che si chiede ora al Governo sono interventi urgenti per accedere a finanziamenti ed evitare danni irreversibili e sostenere le decine di migliaia di lavoratori del settore.
“Stiamo lavorando a più livelli di proposte – aniticipa Spera -: alle Regioni, al Governo centrale e al Parlamento europeo, raccogliendo le istanze anche dei colleghi degli altri Paesi”.
Tra le richieste, interventi sulla fase di ripresa delle attività, con una focalizzazione su elementi fiscali, come l’estensione del tax credit a tutte le opere, la riduzione dell’IVA al 4% così come per l’editoria e l’allargamento della platea destinataria del bonus cultura.
ANSA