È MORTO GIANMARIA TESTA, IL CANTAUTORE DEGLI ULTIMI HA PERSO LA BATTAGLIA CONTRO IL TUMORE

È MORTO GIANMARIA TESTA, IL CANTAUTORE DEGLI ULTIMI HA PERSO LA BATTAGLIA CONTRO IL TUMORE

Addio al “capostazione di Cuneo” che lasciò tutto per la musica

gianmaria testaLa lunga, coraggiosa lotta di Gian Maria Testa è finita. Lui non c’è più, se n’è andato a 57 anni, e anche se ormai me l’aspettavo, non me ne capacito. Come sempre si dice, restano per tutti noi le sue canzoni. Ma a me resta il ricordo e la nostalgia di una bella amicizia durata vent’anni. Ci eravamo conosciuti nel 1996, in febbraio. A Parigi. Strano posto per conoscersi, per due che sono cresciuti praticamente negli stessi posti, nel Piemonte delle colline e dei vigneti. Ma quel giorno ero a Parigi, e su qualche giornale avevo letto che lo “chansonnier italien” Gian Maria Testa l’indomani avrebbe tenuto un concerto all’Olympia. All’epoca sapevo poco di questo capostazione di Cuneo che scriveva canzoni bellissime, e che in Francia era molto amato, mentre da noi non se lo filava nessuno.
Così mi venne voglia di conoscerlo, e mi diedi da fare per incontrarlo. Non ricordo come riuscii a scovarlo. Non era così immediato, scovare uno di Cuneo a Parigi, prima del trionfo dei cellulari. Ma all’epoca ero piuttosto bravo a scovare la gente, quindi lo scovai e ci demmo appuntamento in un piccolo bistrot al Marais, la mattina del gran giorno del concerto all’Olympia. L’Olympia all’epoca era un santuario. Solo grandi star. Italiani ne passavano pochini: l’unico habitué era Paolo Conte. Così andai ad incontrare questo capostazione di Cuneo che si preparava a salire sul palcoscenico del santuario, immaginandomelo con addosso una strizza del diavolo.
Gian Maria Testa non dava l’impressione di aver addosso una strizza del diavolo. Lui poi mi ha confessato che ce l’aveva. Però la nascondeva molto bene dietro i baffi stropicciati. Non mi dava neppure l’impressione di essere un capostazione. Ma questo dipende dal fatto che i capistazione me li sono sempre immaginati con il berretto rosso. Lui una volta me lo ha anche mostrato, il berretto rosso, per cui ho la certezza che all’epoca era davvero un capostazione. Ha smesso molto tempo dopo, di esserlo, perché da buon cuneese di sangue contadino prima di convincersi a lasciare il posto fisso in ferrovia ha preferito farsi anni di vita d’inferno, la notte i concerti e la mattina il lavoro, che si sa come vanno le cose nel mondo dello spettacolo, oggi sei una stella e domani ti cerca più nessuno…
Ad ogni modo: quella mattina nel bistrot al Marais il berretto rosso Gian Maria Testa non ce l’aveva, e forse fui un po’ deluso, benché razionalmente capissi che non c’era ragione di andare in giro per Parigi con un berretto rosso, pur essendo un capostazione. Ma non era che la prima delle sorprese che Gian Maria Testa mi avrebbe riservato quella mattina. Parlammo a lungo di varia umanità, e delle nostre comuni radici nel Basso Piemonte, e poco di musica. Parlammo molto in piemontese, in quel bistrot al Marais. Pareva una versione nordista di un film di Totò e Peppino. Fu una mattina piacevole. E la sera, all’Olympia, fu un trionfo.
Io poi scrissi un lungo articolo per il mio giornale, raccontando del capostazione all’Olympia, e subito dopo Enzo Biagi lo intervistò al “Fatto” e Gian Maria Testa divenne popolare anche in Italia. Da quel giorno sono passati vent’anni, ed è stato bello ascoltare, in questi anni, i dischi e i concerti di Gian Maria Testa ha pubblicato. Non tantissimi, i dischi. Ma tutti necessari, precisi. Canzoni che raccontavano la vita, i sentimenti, ma anche i drammi del nostro presente; l’immigrazione, su tutti, che è diventata uno dei temi centrali della sua poetica.
Gian Maria è stato un uomo fortunato: ha avuto un dono, e ha saputo metterlo a frutto. Ma dietro a ogni uomo fortunato c’è sempre una donna intelligente e innamorata. E Paola è stata la fortuna di Gian Maria: moglie che qualsiasi uomo gli avrebbe invidiato, madre di un ragazzo meraviglioso, e manager geniale. Per Gian Maria, Paola Farinetti ha immaginato spettacoli memorabili, affiancandogli i nomi più belli della musica e del teatro italiani, da Enrico Rava a Erri De Luca; sicché Gian Maria Testa – l’ex capostazione di Cuneo, nato a Cavallermaggiore, cresciuto in una famiglia dove si parlava soltanto il piemontese – è diventato un artista totale, un fenomeno culturale alto, un musicista raffinatissimo. Restando però, sempre e comunque, un uomo semplice, quasi imbarazzato per il bene che si diceva di lui; identico a quello che conobbi vent’anni fa a Parigi, alla vigilia della celebrità.
L’ultima volta ci eravamo incontrati a Sarzana, al Festival della Mente, in settembre. Lui aveva accompagnato sua moglie Paola, che produceva uno degli spettacoli in cartellone. Fu una gioia come sempre, rivedersi. Mi sembrò in forma e gli domandai come andava. Bene, mi disse, bene. Un po’ affaticato, niente di più. Sperai fosse vero. La prossima volta ti voglio sul palco, gli dissi salutandolo. Ci puoi contare, rispose. E ci credeva. Ci credevamo tutti.

di Gabriele Ferraris, La Stampa

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