di Morten Tyldum con Chris Pratt, Jennifer Lawrence, Michael Sheen
Che direste di un film dove Star-Lord/Chris Pratt e Katniss Everdeen/Jennifer Lawrence fossero bloccati, soli soletti, in un’astronave, senza via di scampo? Una sorta di Titanic ambientato nello spazio? Stiamo, ovviamente, esagerando con i paragoni, però una pellicola di fantascienza così curiosa, intrigante, pazza, comica e allo stesso tempo drammatica, con pregi (molti) e difetti (gli ultimi quindici minuti), non la si vedeva da tempo. Oltretutto, dove non ci sono alieni o spade laser, mostri o tutto l’immaginario di questo particolare genere. In effetti, Passengers potrebbe essere considerata come una commedia romantica a tinte sci-fi, talmente originale che lo script di Jon Spaiths è stato, per anni, tra i più attesi e ricercati del mondo hollywoodiano. Di cosa si tratta?
Sull’astronave Avalon, in rotta per la colonia di Homestead II, stanno viaggiando, ibernati, più di 5000 passeggeri, compreso l’equipaggio. Il volo, partito dalla Terra, dovrebbe durare 120 anni ed è previsto che chi è a bordo si svegli quattro mesi prima dell’arrivo. Un’anomalia, però, fa destare l’ingegnere Jim (Pratt) dopo appena trent’anni, con la prospettiva, cioè, di dover viaggiar solo (e quindi morire) per altri 90. Riesce a resistere poco più di un anno, sfruttando anche la compagnia di un barman androide, divertendosi grazie alla tecnologia evoluta della nave spaziale, ma dopo quindici mesi compie il misfatto. Decide di sabotare, e quindi svegliare, la capsula di Aurora (la Lawrence) che, dopo l’iniziale choc, condividerà vita e letto con l’altro passeggero. Fino a quando scoprirà la verità, mentre la navicella sembra sull’orlo della distruzione.
La parte con Pratt solitario è la più riuscita, trasmettendo chiaro il messaggio in sala: il mondo ipertecnologico costringe l’uomo alla solitudine e all’isolamento (basta fare un giro in metro alla mattina per capire come sia vero). Poi, certo, subentra il romanticismo e il thriller, non sempre ugualmente convincenti. Comunque, da antologia la scena della mancanza di gravità con l’acqua della piscina spinta in alto. Da matita rossa, invece, il momento del tasto resurrezione che segna anche l’inizio del brutto finale. Esagerato.
Di Maurizio Acerbi, Il Giornale