SIANI, UN PELANDRONE DISILLUSO CHE DIVENTA «MISTER FELICITÀ»

SIANI, UN PELANDRONE DISILLUSO CHE DIVENTA «MISTER FELICITÀ»

Il comico napoletano si gioca il ruolo di anti-Zalone ma rifiuta il confronto con Troisi: «Io sono un’altra cosa»

Tv: Rai3; Che tempo che faCommedie natalizie fedeli come cani all’appuntamento delle feste, che pure è stato disertato dal grosso del pubblico. Film inguardabili? Attori men che mediocri? Presunzione grande come una casa dietro a cinepanettoni sempre più stupidelli? In ogni caso, il primo gennaio arriva l’ultima sfornata della serie, Mister Felicità, di e con Alessandro Siani, che riposa sugli allori degli incassi di tre anni fa, quando Il Principe abusivo sfiorò quota 15 milioni di euro al botteghino. «Mister Felicità è un titolo importante, addirittura ingombrante per un film comico. Ma la rinascita emotiva è il motore autoriale che si è acceso in me», spiega l’artista napoletano classe ’75, seguito dal suo pubblico in Campania e dintorni. E infatti qui si parla in dialetto partenopeo, magari storpiandolo un po’ per fare la parodia di Gomorra, come usa un po’ ovunque. E pazienza se gli sfondi cartolineschi di montagne, baite e piste di ghiaccio sono «made in Alto Adige» («Io dico Alto Adipe, perché lì si mangia troppo bene», scherza Siani): è la legge non scritta delle Film Commission regionali, che se promuovono la produzione con location suggestive, metti tra Merano e Sluderno, chiedono di ricambiare la cortesia con almeno un po’ di pubblicità turistica.
A dire il vero, il nostro cinema super-sovvenzionato non di rado piega pure la sceneggiatura dei film alle esigenze di scambio, ma ciò corrisponde all’andamento generale delle cose nel Bel Paese.
E se quest’anno Checco Zalone non si presenta all’appuntamento di Capodanno, ecco che Siani cerca di occupare tale casella vuota con la storia semplice semplice di Martino (Siani), giovane partenopeo nullafacente perché disilluso (il suo mantra è: «Chi mmò ffà fà?», chi me lo fa fare?), mantenuto in Svizzera dalla sorella Caterina (Cristiana Dell’Anna, volto noto della soap opera tv Un posto al sole e della serie Gomorra), domestica presso il dottor Gioia (Diego Abatantuono), grande motivatore di vip. Poiché Caterina ha un incidente d’auto, bisogna farla curare: ci vogliono ventimila euro e lo spiantato Martino prenderà il posto del dottor Gioia, per incassarne le parcelle. Ma tra un inganno e l’altro, arriverà l’amore, che ha l’aspetto della campionessa di pattinaggio Arianna: stavolta è lei, in crisi dopo una brutta caduta, ad aver bisogno del «mental coach», alias Mister Felicità. Un bacio tira l’altro e nasce persino un pupetto al quale, già in culla, la nonna (Carla Signoris) regala un paio di scarpette di lana a mò di micro-pattini… È la formula zaloniana della facilità felice, anche se mancano i guizzi di Checco.
Tuttavia, dietro Siani c’è l’ombra di Massimo Troisi, imitato nella dizione e nelle pause finto tonte d’una napoletanità svagata. «Troisi è Troisi. E io sono un’altra cosa. Un paragone con lui è impossibile, anche per via del linguaggio. Aveva una poesia che nessun altro può avere», si schermisce l’attore, che ha studiato bene certe pause e certi toni nasali del più noto collega scomparso. Come quando, qui, pronuncia la battuta: «La felicità è dietro l’angolo? Allora io ho preso la rotatoria», sfoggiando un’aria sorniona alla Troisi. «Questo è un momento particolare. Manca l’ottimismo e così ho voluto raccontare le differenze tra ottimismo e pessimismo, tra pensiero positivo e pensiero negativo», commenta il regista, convinto che il suo film possa piacere ai bambini in particolare. «Io però resto ottimista sulle nostre commedie: non si tratta dei film, ma del momento storico», dice Siani.
Meno ottimista appare il produttore di Mister Felicità, il patròn di Cattleya Riccardo Tozzi, quando fotografa la situazione del cinema italiano, all’indomani delle batoste al box-office. «Il nostro cinema sembra un campo di calcio, dopo un incontro di rugby», afferma riferendosi alla devastazione della nostra filiera cinematografica. «Noto un processo di disaffezione del pubblico: si è concluso un ciclo e occorre una riflessione seria. La stagione cinematografica è diventata un Natale allargato», dice. Appunto.

Cinzia Romani, il Giornale

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