SVANISCE L’UMORISMO IN TV. OGGI LE RISATE ARRIVANO SOPRATTUTTO DAL WEB

SVANISCE L’UMORISMO IN TV. OGGI LE RISATE ARRIVANO SOPRATTUTTO DAL WEB

walterchiari

(Aldo Grasso, capsule Corriere) Com’è cambiato il modo di ridere degli italiani dai primi anni di vita della televisione a oggi? Lo «Speciale Tg1» di domenica sera ha provato a rispondere a questa domanda, mettendo insieme un’antologia di comici distesa lungo oltre sessant’anni, passando dalla tv al cinema fino ad arrivare ai nuovi spazi del web (Rai1, ore 23.20).
Una cosa va subito detta: l’impressione forte è quella che ormai la tv non sia più lo spazio privilegiato di espressione dei comici, di costruzione dei tormentoni, di sperimentazione di forme e linguaggi nuovi dell’umorismo. A parte alcune importanti eccezioni (Maurizio Crozza su tutti), sembra che ormai le cose più fresche e innovative arrivino dalla rete, per essere poi spesso riprese e amplificate dal cinema. Per esempio, lo speciale si è soffermato sui casi dei videomaker del Terzo segreto di satira e del profilo Twitter satirico di Spinoza. Ci sarebbero molti altri esempi (e più significativi), anche nel filone delle webserie.
Lontani i tempi in cui, proprio in tv, passavano le primizie dei comici migliori: i primi monologhi televisivi di Walter Chiari, il cabaret milanese ritmato, portato in tv da Franca Valeri, le esibizioni di Alberto Sordi e Aldo Fabrizi, spesso accompagnati da «spalle» d’eccezione (Corrado, Pippo Baudo, e via così). Ma anche gli anni migliori di «Zelig», quelli che hanno gettato le fondamenta della carriera di Checco Zalone (a proposito, ma è ancora il caso di definire snobisticamente la sua comicità «trash», «di pancia»?), senza dimenticare i varietà di Fiorello.

Le cose più interessanti dell’approfondimento del Tg1 le ha dette Renzo Arbore, maestro della risata televisiva e radiofonica, ricordando di quando, in radio, con Gianni Boncompagni inventarono una formula di improvvisazione comica, una sorta di umorismo jazz che doveva molto alla formazione musicale di Arbore. «Il riso uccide la paura» dicevano i monaci de Il nome della rosa.

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