L’evento, inserito nel cartellone de “La Francia in scena”, la stagione artistica dell’Institut français Italia e dell’Ambasciata di Francia in Italia, non poteva che avere come protagoniste artiste legate tra loro da un filo sottile. Le Brigitte, il cui nome si rifà a tre Brigitte (Brigitte Bardot, la cantante e scrittrice Brigitte Fontaine e Brigitte Lahaie, una delle prime stelle del cinema pornografico francese degli anni settante e ottanta), promuovono l’affermazione di una donna poliedrica, allergica alle etichette. Lo stesso tipo di donna che può aspirare al potere e che, come afferma la Cantantessa ad Huffington Post, ha tutto il diritto di scegliersi il ruolo che vuole senza incasellarsi nello stereotipo di colei che lotta per l’emancipazione.
Qual è la donna che tu e le Brigitte volete rappresentare? Che caratteristiche ha?
“Quella che vogliamo rappresentare è una donna libera, che smetta finalmente di dire: ‘Sono donna e, in quanto donna, devo lottare’. Dobbiamo smettere di lottare per emanciparci perché siamo già emancipate. Io, ad esempio, parto con l’idea di essere già emancipata, agisco con questa presunzione e anche se dovessi tornare nel Medioevo mi comporterei allo stesso modo. Probabilmente finirei su un palo bruciata, ma è pur vero che ci sono diversi roghi che ancora purtroppo vengono accesi e bruciano. È importante non permettere agli altri di farsi dare un ruolo. Quindi sì, quella che cantiamo è una donna libera dai cliché, una donna che dica, forte e chiaro: ‘Sono donna e comando. E comando perché sugnu cumannera (in catanese, ndr)'”.
Le ultime elezioni amministrative hanno visto il trionfo delle donne: a Torino, con Chiara Appendino, ma anche a Roma, dove Virginia Raggi è diventata il primo sindaco donna della Capitale. Tu cosa ne pensi? Credi che il cambiamento possa partire dalle donne?
“Mi fa molto piacere, lo vedo un segnale bello, pulito, d’avanguardia. Non voglio dire che siccome sono donne faranno meglio di chi le ha precedute, non voglio fare questa discriminazione al contrario. Sono felice perché è un segnale importante, moderno e un po’ nel mio cuore esulto. Sono convinta che queste signorine riusciranno a guardare alla cosa migliore da fare. Forse l’unico consiglio che posso dar loro è di non farsi deviare dalle mille voci che mireranno a distoglierle dall’obiettivo, ma di puntare sempre al meglio. E sono sicura che ci riusciranno, con serenità. Non con tante parole, ma con i fatti”.
Nel tuo ultimo album “L’abitudine di tornare” c’è un brano, intitolato “La signora del quinto piano”, che parla di stalking e di femminicidio. Alla fine la donna protagonista viene uccisa dal compagno, nell’indifferenza più totale delle forze dell’ordine. Come mai hai scelto di dar voce in maniera tanto forte al disagio delle donne?
“Chi scrive diventa specchio e poi filtro di realtà intorno per cui è impossibile non emozionarsi, non sentirsi parte di ciò che accade. Ci tengo a sottolineare, però, che non è solo un parlare di violenza contro le donne. Già sui giornali e in televisione se ne parla in maniera eccessiva: c’è troppa violenza autorizzata, legittimata, le notizie sono piene di dettagli terribili. Si dovrebbe puntare a raccontare la violenza anche in altri modi. Attraverso la cultura, ad esempio. Più cultura potrebbe portare i nostri cittadini e cittadine a prediligere un nuovo modo di confrontarsi con questo tema e con il diverso”.
A sostegno della campagna di Telefono Rosa contro gli abusi, hai deciso di lanciare una versione de “La signora del quinto piano”, chiedendo la collaborazione di colleghe come Nada, Irene Grandi, Elisa, Gianna Nannini ed Emma. La musica, quindi, può aiutarci ad aprire gli occhi?
“Non solo la musica, ma l’arte in generale salva il mondo. E per arte intendo anche la bellezza della natura, della storia. La bellezza aiuta perché predispone l’anima a pensieri nobili e allontana da pensieri vincolati soltanto all’imperativo categorico del dio denaro. Perché qua assistiamo ogni giorno ad una sostituzione di priorità. La priorità è la felicità degli esseri umani, non è il possedere delle cose per essere migliori di altri o per essere più potenti di altri, la priorità è poter fare quello che ti piace e farlo bene ed essere felice di essere ciò che sei e di quello che fai. Esserne felice così, semplicemente, senza dover dimostrare a qualcuno di essere arrivati su un qualche livello. Ci vorrebbe una scala più orizzontale dei valori”.
Il tuo ultimo album contiene brani che raccontano spaccati duri di realtà, dal tradimento al femminicidio alle difficoltà di una famiglia con il mutuo. Nell’ultima canzone, “E forse un giorno”, però, canti: “Ma la primavera tornerà nei nostri poveri cuori abbruttiti e li scalderà”. C’è ancora speranza?
“Non si può fare a meno di descrivere la realtà in modo cupo, se questa è la realtà. Ma ti lascio con un aforisma, che ogni tanto mi piace ricordare: “Più buia è la notte, più vicino è il sole”. Non si può far finta di non vedere la notte. Devi conoscerla, devi sapere contro cosa stai combattendo. Dopodiché prendi le misure”.
Huffington Post