(di Stefania Miccolis) Anche se il titolo è una interiezione inglese che conosciamo soprattutto dai fumetti, for sale “Slurp”, l’ultimo libro di Marco Travaglio (chiarelettere, 2015) è dedicato al lecchinaggio tutto italiano, il più sfrontato, il peggiore in Europa. Dedicato ai “Signorini grandi lingue”, ai “giornalisti e opinionisti che hanno beatificato la peggior classe dirigente d’Europa”, pronti ad “assicurare consensi e voti”. “Lingue, che son pur sempre dei muscoli involontari e, quando si mettono in moto, vanno avanti per inerzia”.
Siamo abituati a vederlo in televisione, arrabbiato, stizzito, a rispondere con superbia e arroganza, eppure il suo tono è gentile e pacato, anche se mantiene quella vena sarcastica che tanto lo contraddistingue (considerando che pochi eletti hanno il dono del sarcasmo). Travaglio parla con assoluta tranquillità, forse dovuta alla sicurezza compiaciuta con cui racconta del suo libro e delle tante lecchinate: “tutte citazioni testuali, niente di inventato”, niente da nascondere, tutto da mostrare senza peli sulla lingua. Tra l’altro nessuno può smentirlo, sono veri documenti, e non ci sarà alcuna critica, perché il lecchino citato si farebbe notare come uno dei protagonisti del libro. “La reazione della categoria è quella di non parlare di questo libro, e posso assicurare che non ci saranno recensioni”. La cosa buffa è che probabilmente il libro, anche senza troppe recensioni, sarà letto da chi vorrà accertarsi dell’appartenenza (e sicuramente lo sa) alla categoria “slurp”, e tra l’altro non essendoci alla fine l’indice dei nomi e cognomi, chi ha tale curiosità lo dovrà leggere tutto. Ma sia ben chiaro, è stato scritto per sputtanare solo quelli che leccano: “bravissimi colleghi non sono citati e non saranno mai citati perché semplicemente la lingua la usano per parlare, per denunciare, per criticare quando è il caso, e non per leccare”.
Travaglio racconta come è riuscito ad assemblare il tutto: “Sono almeno vent’anni che colleziono e archivio leccate, e ho sempre avuto nei giornali con cui collaboravo delle rubriche a cui segnalavo giorno per giorno chi usava la lingua per questi servizietti”. Ha attinto molto dal suo archivio, aiutato da una buona memoria, e da qualche collega che si è ricordato cose che gli erano sfuggite. Ci ha messo sei mesi a scriverlo, ma da una ventina d’anni le cartelline si riempiono: “Sono sempre più voluminose, ormai infilate da terra mi arrivano al costato”.
Per Travaglio l’Italia non è una democrazia compiuta. Una frase lapidaria a inizio libro, quella di Joseph Pulitzer, “Una stampa cinica e mercenaria, prima o poi, creerà un pubblico ignobile”, spiega i diversi motivi per cui l’ha scritto. Per uno sfogo personale: “mi sono stufato di vedere tanta gente iscritta all’albo dei giornalisti che tradisce quotidianamente i fondamentali del mestiere”; perché spera che con questo sputtanamento “qualcuno abbia un moto di reviviscenza e cominci ad usare la lingua per altre funzioni e non per quella di leccare”; ma soprattutto per la gente, perché pensa che “la bassa qualità del nostro giornalismo e l’alto livello di cortigianeria dipenda anche da una eccessiva tolleranza del pubblico”. Il pubblico deve protestare e pretendere dai giornalisti un servizio vero: “Penso che bisogna puntare soprattutto sulla rivolta dei lettori e dei telespettatori più che a un ravvedimento dei giornalisti; è talmente comodo leccare il culo e prenderne i vantaggi che soltanto se i lettori si ribellano e dicono di piantarla, si potrebbe essere anche invogliati a piantarla”. Purtroppo “quello che svolgono la gran parte dei giornalisti nei paesi stranieri, da noi lo fanno in via eccezionale; solo se la gente smettesse di guardare certi programmi e di comprare certi giornali sarebbero costretti a darsi una regolata”.
Travaglio si sbizzarrisce con i titoli dei paragrafi riportando e storpiando titoli di film e di canzoni, usando citazioni e prese in giro che destano subito ilarità: “È un libro che fa molto ridere, perché vedere un leccaculo all’opera fa ridere, è una funzione comica, grottesca; se le risate suscitate da questa antologia venissero fuori tutti i giorni in chi legge i giornali e in chi guarda la televisione è ovvio che si arriverebbe a un limite di tolleranza e non si potrebbe più passare il tempo a leggere o guardare chi lecca il culo ai potenti”. “Il libro è fatto per restituire alla gente la capacità di ridere delle cose che fanno ridere: l’informazione è una cosa seria e non può essere una comica. Il cittadino non deve mai rinunciare all’informazione, non deve pensare che l’informazione può essere solo lecchinaggio, deve volere in cambio di ciò che paga, un servizio, deve rivendicare e protestare per il diritto all’informazione, che non riguarda i giornalisti, ma i cittadini. Una informazione pulita, genuina, libera e quindi critica. Non è mai morto nessuno per una critica di troppo, mentre sta morendo l’informazione per le troppe leccate.”
Intitola uno dei suoi paragrafi “non possiamo non dirci renziani” parafrasando un noto saggio di Benedetto Croce “Perché non possiamo non dirci cristiani”. “Dai tempi di Craxi ai tempi odierni le cose sono cambiate: “Oggi c’è un lecchinaggio più ecumenico, perché da quando siamo in un periodo di larghe intese praticamente non c’è più distinzione fra giornali di destra e di sinistra, mentre prima c’era una sorta di ping pong fra gli schieramenti opposti. Quando sono andati tutti al governo come con Monti o con Letta e da quando c’è una alleanza sotterranea fra Berlusconi e Renzi come in questo anno, (vedi Nazareno e le varie riforme appoggiate anche dall’opposizione), il governo Renzi ha una quasi unanimità, una schiera di lecchini sulla stampa di ogni orientamento e nella televisione, dove tutti i telegiornali Rai e Mediaset sono renziani (diciamo che solo La7 si consente qualche critica); anche se Renzi non ha ancora toccato la Rai, sono diventati tutti renziani spontaneamente”.
Una “zerbinocrazia italiota”, un “virus di leccaculismo”.
Ci sono quelli che lo fanno per vocazione antropologica, come Bruno Vespa o Giuliano Ferrara. Loro sono sempre dalla parte del più forte, avvertono e annusano il bastone del comando e si mettono sempre dalla parte del vento. E poi c’è chi lo fa per necessità: “Penso a tanti giornalisti che non hanno la fortuna di lavorare in un giornale come “Il Fatto quotidiano” – che non ha padroni, ma soltanto una esigenza di trovare sempre dei lettori che lo finanzino e lo mantengano in vita-, e che invece lavorano in un giornale dove l’editore è un banchiere, o un palazzinaro che sostanzialmente nella vita fa altro che l’editore e non ha la priorità di informare correttamente i lettori, ma di ingraziarsi i politici. Usano il loro giornale come un bastone nei confronti di quei governi locali e nazionali che non fanno i loro interessi, e come carota per premiare, lusingare e ingrassare quei governi che invece si piegano a farli. Quindi i giornali diventano programmaticamente governativi, non al servizio dei loro lettori, ma dei loro editori. Un asservimento totale della stampa italiana ai poteri forti, alle banche, alle grandi imprese di costruzioni.” Un’altra particolarità del sistema italiano: oltre al lecchinaggio ai politici, anche il lecchinaggio dei padroni.
Nel libro anche una premiazione di quelli che hanno leccato di più, “che tra di loro sono diversi: Fede ha sempre leccato Berlusconi, Ferrara ha sempre leccato tutti e contemporaneamente. Poi ci sono quelli che leccano a seconda di chi va al governo, come Vespa che pur di stare a galla lecca sempre chi ha in quel momento il potere in mano, con tempismo da tifo”.
Se si prova a dare una motivazione per comprendere come mai il lecchinaggio è così diffuso in Italia, e si ipotizza che sia così perché è stato sempre un paese di Corti e cortigiani e non di rivoluzionari, Travaglio risponde che non ci sarebbe bisogno di arrivare a tanto. “C’è una tradizione per cui negli altri paesi la stampa è un contropotere molto forte, in quanto orgoglioso della sua indipendenza e che fa da contraltare al potere politico e al potere economico, spesso mettendoli nel mirino”. In Italia molti intellettuali sono stati cortigiani fin dal ‘500; fa l’esempio di uno dei più grandi, Niccolò Machiavelli, che per scrivere era costretto a prostituirsi alla corte dei Medici: “I nostri intellettuali scrivevano per i signori, invece gli intellettuali europei scrivevano per la gente. Non è indifferente questa cosa. Mentre Lutero con la riforma protestante sconvolgeva l’Europa dal punto di vista religioso, politico ed economico, in Italia, un famoso intellettuale Baldassarre Castiglione scriveva un’opera intitolata “Il Cortegiano”, dove spiegava come si fa a diventare il perfetto uomo di corte, il perfetto servitore del padrone. Proprio una diversa impostazione: noi abbiamo l’intellettuale organico, cioè “aggreppiato” al potere, mentre negli altri paesi di solito gli intellettuali hanno spirito libero, critico, indipendente che gliele canta e gliele suona al potere e diventano un punto di riferimento dei cittadini perché aiutano a farli pensare in maniera libera, in maniera sfrenata; diventano automaticamente un contropotere.
Il Pulitzer negli Stati Uniti lo vince chi fa cadere i presidenti, chi smaschera le bugie del potere, da noi coi premi giornalistici vengono premiati di solito i più servi, i più cortigiani, i più lecchini appunto”. Per Travaglio un giornalista di qualità deve essere “ben informato, ben documentato, preciso ed esatto e sempre munito di uno spirito critico e di una sana diffidenza nei confronti delle verità del potere”. “Noi non siamo i portavoce, siamo quelli che vanno a vedere che cosa c’è dietro le dichiarazioni, le promesse dei portavoce. C’è un detto americano che dice che il giornalista perfetto è quello che quando va a intervistare un potente, mentre lo guarda, dentro di sé si domanda che cosa gli sta nascondendo. Ecco, questo dovrebbe essere l’atteggiamento: non è l’atteggiamento di chi dice che va tutto male e che critica tutto e tutti a prescindere, ma l’atteggiamento di chi dubita di tutte le verità ufficiali, e che le va a verificare alla luce dei fatti. Se le verità ufficiali si rivelano infondate lo scrive per aiutare i cittadini ad orientarsi e a non farsi ingannare dalle bugie del potere e per distinguere i politici che dicono la verità, che sono pochi, da quelli che mentono, che sono la maggioranza. Si vive sicuramente meglio con una stampa così”.
È questo ciò che gli ha insegnato Indro Montanelli con cui ha avuto la fortuna e il privilegio di lavorare, prima ne “Il Giornale”, poi ne “La Voce”, insieme a tanti altri colleghi. “Mi ha insegnato soprattutto ad avere un atteggiamento mentale, di dubitare delle verità ufficiali e di non frequentare politici fino al punto di sentirsi parte del loro gioco, ma starsene sempre un po’ al di fuori, un passo distante per osservarli, raccontarli e quando se lo meritano criticarli. Il nostro è un mestiere che facciamo per i lettori, se lavoriamo in un giornale, per i telespettatori, se lavoriamo in televisione, e per gli utenti se lavoriamo sul web, ma mai per i potenti. Noi non lavoriamo per i potenti, non scriviamo per i potenti, non parliamo per i potenti, mi parliamo dei potenti che è una cosa diversa, siamo i loro controllori per quel poco che riusciamo a fare con la scrittura, con la carta, con la televisione. Questo non dobbiamo dimenticarci di essere”.
NON CONDIVIDO I GIUDIZI SU FERRARA E VESPA PERCHÉ…
(Cesare Lanza) … per me Giuliano Ferrara è un mito, in un mix che mi delizia: giornalismo, cultura, analisi politica. E quanto alla scrittura, per stile ed eleganza è il numero uno. Vespa? Se da decenni occupa Raiuno, al di lá del fiuto politico (per individuare, parole sue, l’editore di riferimento, all’origine la democrazia cristiana, mai defunta e sopravvissuta in altri abiti), ci sono altre qualità, Non condivido le scelte dei suoi spazi televisivi, ma io sono fuori dalla tivù anche per aver mandato a quel paese i tanti capi bastone, lui é dominus incontrastato, non rottamabile. In sintesi: io apprezzo la qualità, senza pregiudizi politici: anche quella, grandissima come ho scritto tante volte, di Travaglio. Penso che i lecchini sia altro, nel we leggerò “Slurp” e dirò la mia. Se ci saranno querele e polemiche, per favore tenetemi fuori. Ho appena fondato “Sicrate” e solo a quello voglio pensare.