Intendiamoci, che senza di lei la premiazione dei David, condotta piattamente da Alessandro Cattelan, sarebbe stata il corrispettivo televisivo di una colonoscopia non ci sono dubbi. Ci sono invece grossi dubbi sul fatto che quel che abbiamo visto, e con noi i colleghi della Bruni Tedeschi lì in sala, sia stato frutto di un vero sentire
Siamo messi benissimo. Sì, se il discorso di Valeria Bruni Tedeschi di ieri, alla premiazione dei David di Donatello, rischia di diventare il nostro I have a Dream, almeno in scala ridotta, siamo davvero messi benissimo. Perché tutti noi ci siamo abbeverati alle parole di Martin Luther King, tutti noi ci siamo commossi per lo Steve Jobs che diceva di rimanere affamati e folli, tutti noi ci siamo sentiti delle merde, sì delle merde, per la tizia che ai Ted’s ci ha spiegato cosa significa convivere con l’handicap. Discorsi che sono entrati, in epoche diverse, in modalità diverse, nell’immaginario collettivo. E a noi cosa tocca? Un’attrice che fa il suo mestiere su un palco. Anzi, peggio, una attrice che fa l’attrice su di un palco in cui viene premiata come attrice. O peggio ancora, un’attrice che gioca quella emotivamente sballata su di un palco in cui viene premiata come attrice per aver interpretato una donna con problemi mentali.
Ma andiamo con ordine, se si può citare l’ordine in mezzo a una situazione che ha nella confusione, vera o presunta, la sua essenza. Ieri ci sono state le premiazioni dei David di Donatello. Un programma tv, questo sono le premiazioni dei David di Donatello, di una noia mortale. Roba che li guardavi e ti veniva da cercare su Rai3 le lezioni di fisica per provare una scossa di adrenalina. Uno spettacolo noioso, in cui i primi ad annoiarsi, in maniera per niente carina verso il pubblico da casa, erano attori e registi in sala, manco fossero stati in miniera a controllare se il canarino nella gabbietta era ancora vivo o se nel mentre fosse sopraggiunto il grisù a porre fine alle loro sofferenze. Una roba davvero brutta. Finché sul palco non è salita lei, premiata, magari anche giustamente, per il personaggio interpretato nel film di Paolo Virzì, La pazza gioia. Valeria Bruni Tedeschi ha vinto come migliore attrice protagonista e, come a voler portare su quel palco il suo personaggio, ha iniziato un discorso di ringraziamento che ha alternato picchi di euforia a picchi di commozione. Un lungo elenco di ringraziamenti, da Natalia Ginzuburg all’amica di infanzia che le ha offerto un po’ di focaccia il primo giorno di scuola. Un guazzabuglio di parole, di lacrime, di risate isteriche, di parole farfugliate dietro a dei fogli in cui aveva appuntato i nomi da ringraziare. Un discorso che è diventato virale, per motivi che non solo riempiono di meraviglia, ma giustificano un atteggiamento nichilista nei confronti dell’umanità, probabilmente indegna di tenere in pugno il destino del pianeta Terra.
Intendiamoci, che senza di lei la premiazione dei David, condotta piattamente da Alessandro Cattelan, sarebbe stata il corrispettivo televisivo di una colonoscopia non ci sono dubbi. Ci sono invece grossi dubbi sul fatto che quel che abbiamo visto, e con noi i colleghi della Bruni Tedeschi lì in sala, sia stato frutto di un vero sentire, e non, piuttosto, un copione portato a casa con maestria. Perché se la Bruni Tedeschi è così come l’abbiamo vista ieri, in bocca al lupo al prossimo regista che si prenderà agio di dirigerla. Se invece, come a chi scrive è sembrato, e anche a qualcuno dei presenti (si pensi alla faccia di Carlo Verdone), Valeria Bruni Tedeschi ci ha semplicemente rifilato un discorso a effetto, un discorso sull’emotività dell’attrice, sull’essere senza pelle, sulla gratitudine rivolta a chiunque, dalla mamma alla vicina di casa, beh, diciamolo, vedere quel che oggi in molti stanno dicendo intorno a quelle parole ci spinge verso una depressione cosmica che Leopardi levate.
Non ambivamo certo, dopo tutto quello che avevamo visto è già tanto se non eravamo svenuti sul divano, a un discorso epico come quelli citati in esergo, ma magari qualcosa di un po’ più di spessore, perché, anche questo va detto, non è che la Bruni Tedeschi ci abbia regalato perle di saggezza. Ha ringraziato un po’ di gente, vero, anche nei nomi della letteratura e dello spettacolo, ha poi fatto un cenno agli uomini della sua vita, sticazzi, ma volete mettere l’effetto dirompente del produttore di La La Land che, con la morte negli occhi, annuncia che il premio l’aveva in effetti vinto Moonlight. Tutta un’altra storia.
Comunque, viviamo in un periodo di vacche magre, c’è la crisi, la disoccupazione è ai suoi massimi, il futuro appare incerto, forse dobbiamo saperci accontentare anche di quel che passa il convento. Ne approfitto per ringraziare i miei genitori che mi hanno dato modo di studiare, Fabio che alle elementari mi bullizzava ben prima che si parlasse di bullismo, perché così mi ha spinto a cercare nella scrittura uno sfogo contro la frustrazione, Nanni Balestrini per i suoi libri, Uma Thurman per i suoi piedi e Valentina Nappi, lei sa bene perché.
Michele Monina, Il Fatto Quotidiano