BASTA DONNE PER ZUCCHERO: «NON CANTO PIÙ QUEL BRANO CON IL DU DU DU»

BASTA DONNE PER ZUCCHERO: «NON CANTO PIÙ QUEL BRANO CON IL DU DU DU»

Il bluesman sarà ospite della finale all’Ariston. L’esordio nel 1982, l’amicizia con Vasco, le critiche: «Sanremo oggi? La gara ormai non ha senso»

ZUCCHEROTrovare Zucchero a casa non è facile. Il bluesman è spesso lontano dalla sua tenuta-fattoria di Pontremoli. «Sono appena tornato da una vacanza con la famiglia in Birmania. Starò qui qualche giorno, sono nella fase in cui mi trovo bene. Però mi annoio rapidamente e ho bisogno di rimettermi in movimento». Il 2016 l’ha passato in giro per il mondo: prima in America a registrare le canzoni di «Black Cat» (uno dei dieci album più venduti del 2016), l’autunno impegnato con i concerti fra Verona (undici date di fila) e l’Europa. Da metà marzo il tour riparte con una cinquantina di show (altri cinque, 1-5 maggio, all’Arena, ormai diventata la sua seconda casa) fra Nord America e ancora Europa. «Amo viaggiare, negli Stati Uniti l’esperienza è ancora più bella perché giriamo con lo sleeping bus. Non lo faccio più per i soldi grazie a Dio ma per queste sensazioni».
Prima però c’è Sanremo: sarà ospite della finale.
«È impegnativo».
Il famoso palco dell’Ariston che emoziona anche i più navigati?
«No, chissene… di quello. È impegnativo perché è una lente di ingrandimento dove ti guardano, ti scrutano e sezionano anche il modo in cui sei vestito. Cosa cui non bado più di tanto».
Che farà?
«Era la terza volta che Conti mi invitava. Siamo amici perché ai tempi delle balere avevamo lo stesso impresario e sono capitate serate in cui lui presentava, Panariello era il comico e io ero con l’orchestra. Ho pensato a qualcosa che non sia solo i tre minuti e mezzo di una canzone, voglio giocare con l’orchestra».
Senza aver ascoltato le canzoni, chi vincerà?
«Fiorella Mannoia si merita il meglio: bravissima interprete, persona seria e artista vera. E poi mi piace Francesco Gabbani, conosco il padre che suonava con me agli esordi, è uno che ha fatto tanta gavetta».
Lui ha vinto nei Giovani l’anno scorso. Sanremo serve ancora?
«Non ha più senso, non rispetta più né la cultura né la musica. Non voglio sputare nel piatto dove mangio, ma faccio un discorso da musicista. Trovo datata e molto latina l’idea che ci siano vincitori e sconfitti. E poi mi domando che senso abbia scrivere la canzone apposta per l’occasione. Ravera, il patron degli anni d’oro, rischiava. Cercava gente fuori dal coro».
Tra cui un certo Zucchero Fornaciari. Che ricorda di quel debutto, datato 1982?
«Venivo dal mondo delle orchestre, dove avevo un ottimo riscontro, ma non avevo più speranza di ottenere un contratto discografico. Tutti dicevano che il mio genere e la mia voce non avrebbero mai funzionato. Ravera e il mio impresario Nando Capecchi mi convinsero a fare il Festival di Castrocaro anche se a me sembrava un passo indietro perché come autore avevo già scritto per Fred Bongusto e firmato un successo come “Te ne vai” per Michele Pecora. Vinsi e l’anno dopo arrivò Sanremo».
Si rivede in «Una notte che vola via»?
«No, mi sentivo un ibrido. Era un brano pop elegante, una cosa fra Fogli e Cocciante, ma non mi rappresentava. Non si mosse nulla».
Nel 1982 lei arrivò penultimo. Andò peggio a Vasco…
«Allora non ci conoscevamo, siamo diventati amici in seguito. Prima o poi vorrei scrivere un brano con lui, testo mio e musica una di quelle ballad che solo Vasco sa fare».
L’anno dopo ci riprovò con «Nuvola» e non accadde nulla. Oggi le avrebbero stracciato il contratto…
«Invece mi diedero un’ultima possibilità, con un budget risicato, usando un biglietto aereo vinto da un amico, mi presentai a San Francisco da Corrado Rustici. Lì con dei musicisti di livello come Randy Jackson nacquero le basi dell’album. Mogol offrì dei testi, ma non voleva apparire e li firmò con pseudonimo».
C’era anche «Donne», e arriviamo al Festival del 1985. Il successo e la svolta?
«Un momento. Arrivai penultimo e alla proclamazione dei risultati vidi i miei discografici sgattaiolare via. Pensai che fosse finita. Invece divenne una hit in radio che mi aprì le porte per un altro disco, “Rispetto”. Tornai a Sanremo con “Canzone triste” che mi sdoganò definitivamente».
Da anni non canta «Donne» dal vivo. Perché?
«Un testo bellissimo, scritto da Alberto Salerno, un quadro perfetto del mondo femminile. Ma non me la sento di cantare du du du. Ho pensato mille volte di farla, ma mi blocco sempre. Prima o poi, forse proprio nelle date di maggio all’Arena, la farò. Magari con una nuova veste».

di Andrea Laffranchi, Il Corriere della Sera

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