Intervista all’attore protagonista della miniserie sull’ex broker di Wall Street in onda su Sky
«Io sono un mago e sono in grado di fare piovere». La pioggia cui si riferisce Richard Dreyfuss nella miniserie Madoff, in onda in unica serata su Sky Cinema Uno HD sabato 28 gennaio, è quella di denaro che l’ex broker di Wall Street Bernard Madoff ha promesso di spargere sugli investitori che per anni gli hanno creduto. La capacità di far fruttare il denaro in realtà si è rivelata una truffa da 50 miliardi di dollari (in cui sono cadute migliaia di persone, comprese celebrità come Steven Spielberg, John Malkovich e Kevin Bacon), che nel 2008 ha provocato l’arresto e la condanna dello stesso Maddoff a 150 anni di carcere.
«È uno degli individui più disprezzabili che abbia mai interpretato, un vero sociopatico che ha ingannato un sacco di gente compresi moglie, figli e parenti. Per questo non ho voluto incontrarlo o parlarci: con quali verità avrebbe potuto illuminarmi un bugiardo patentato? Mi ha fatto pensare alla malvagità senza confini di Iago, che ho interpretato una volta», racconta Dreyfuss, incontrato al festival di Dubai. Per l’attore newyorkese, classe 1947, un Oscar per Goodbye amore mio! e interprete di film indimenticabili come Lo squalo e Incontri ravvicinati del terzo tipo, è l’occasione del ritorno dopo anni di semianonimato, dovuti ai problemi con la cocaina, di cui ha fatto uso proprio all’apice del successo, e a quella sua franchezza, considerata da molti a Hollywood arroganza, che gli ha fatto anche ammettere dieci anni fa di avere sofferto per anni di disturbo bipolare. «Non mi sono mai trattenuto dall’esprimere un commento sulla politica, la vita o le donne per adeguarmi a qualcosa o qualcuno e non me ne pento. In fondo cosa c’è di più divertente di essere sinceri? Non voglio presentarmi davanti a Dio e giustificare le mie bugie», spiega l’attore, che da tanti anni ha fondato un’associazione per sostenere l’importanza dell’educazione civica a scuola.
L’impegno sembra sposarsi perfettamente col suo ultimo ruolo. «Senza educare i giovani circa i doveri di cittadini non è possibile costruire alcun futuro. E questa serie è importante perché viviamo tempi in cui nessuno viene più inchiodato alle proprie responsabilità, e l’individualismo sfrenato fa sì che nessuno aiuti il prossimo. Persino chi governa è assente, come si è visto fin dai tempi dell’uragano Katrina. E il guaio è che Madoff, che rappresenta l’America al suo peggio, è stato condannato, ma è l’unico, perché le banche che erano sue complici l’hanno sfangata».
Riguardo al fatto che il suo rilancio sia avvenuto in tv, Dreyfuss ancora una volta non teme di dire ciò che pensa: «La tv oggi propone i drammi migliori, però è pur vero che questa miniserie è nata dalla redazione news del network ABC, che ha omesso alcuni dettagli dalla storia, come i nomi delle banche coinvolte, pur di non essere citata in giudizio. Oggi tutti hanno paura di possibili ripercussioni legali, ma non capiscono che la gente è arrabbiata e vuole sentirsi dire la verità».
Il problema però a suo dire è che ormai in televisione non è possibile approfondire più nulla: «Una volta in un talk show ti facevano una domanda e avevi 5 minuti per rispondere, mentre oggi hai 15 secondi. Ma così è impossibile dire alcunché di serio o rilevante. Purtroppo questo è ciò che vogliono i media e i pubblicitari: un pubblico incapace di pensare». Il cinema, d’altra parte, non se la passa molto meglio, dominato da una valanga di sequel: «È iniziato tutto con Lo squalo, di cui hanno fatto un sacco di seguiti, che facevano tutti schifo. Ma quel film era originale e facendo leva su una paura universale ebbe un successo straordinario. Sono trascorsi 40 anni, ma né io né Spielberg dopo allora siamo più riusciti a fare un bagno nell’oceano».
A conclusione dell’incontro, gli chiedo qual è la sua più grande paura. «Per tanto tempo ho avuto il terrore di fallire. Ma invecchiando per fortuna mi è passata».
di Marco Consoli, La Stampa