A tenere il ritmo di Boum Boum Boum , titolo onomatopeico su un amore che disturba i vicini, ci sono gli archi, nelle altre hit come Relax , Grace Kelly o Love Today si aggiungono fiati e percussioni, mai basso, batteria o strumenti elettronici. Eppure alla Philarmonie de Paris il pubblico non riesce a stare seduto in poltrona, durante le oltre due ore di «Mika symphonique», il concerto con orchestra classica e coro dell’artista 38enne che domani sera ritrova il ruolo di giudice a X Factor.
Perché re-inventare i pezzi in versione classica?
«L’idea è di tirare fuori la poesia delle parole, che talvolta nel pop va persa perché pensiamo soprattutto al ritmo e a fare ballare. Mi piace mostrare tutte le diverse identità possibili di una canzone, e a ogni concerto sinfonico ne offriamo un arrangiamento diverso. È un progetto in evoluzione continua, senza pensare alle mode».
Come sceglie le canzoni?
«Tutto il concerto è un racconto, una storia, scelgo le canzoni che possono dare a me e al pubblico l’emozione più intensa, evitando il musical. Non mi piace neanche l’espressione crossover, che di solito significa lasciare la canzone così com’è aggiungendo solo un tappeto morbido di archi… I pezzi vanno ripensati completamente».
Com’è nata l’idea?
«Qualche anno fa ho fatto un tour negli Stati Uniti e qualche data anche in Canada, a Montréal è venuta a vedermi la mia amica giornalista Olivia Lévy. A un certo punto del concerto siamo rimasti io al piano, con un clarinetto e un accordeon, e Olivia alla fine mi ha detto: devi fare un concerto così, con l’orchestra sinfonica di Montréal. Le ho risposto ok, se loro vogliono perché no? È stata lei il motore di tutto. Per la Philarmonie di Parigi ha insistito il mio amico Marc-Olivier Fogiel. Adesso si sta parlando di un tour mondiale, da Berlino a Tokio. Spostare tutta l’orchestra, un incubo logistico. Ma sarebbe fantastico».
Mika sinfonico è un modo di conciliare anime diverse?
«È un modo per allargare il mio spettro, a 38 anni cerco di andare avanti. Il sabato canto con l’orchestra, il giovedì posso essere in tv, la domenica dormire nel deserto per catturare il suono del vento e il lunedì entrare in studio di registrazione per farne un campionamento. Sto scrivendo un nuovo album e poi dovrò dedicarmi per la prima volta alla colonna sonora di un film. Ottantadue minuti di musica sinfonica, una bella sfida per uno come me che non sa leggere la musica».
Come ha fatto a frequentare il Royal College of Music senza saper leggere sul pentagramma?
«Facevo finta. Cercavo di voltare pagina al momento giusto. Mi hanno scoperto, ma ho fatto appello a una legge voluta dal premier Tony Blair contro le discriminazioni verso le persone dislessiche… Alla fine me ne sono andato io, scegliendo il pop».
Bullismo, dislessia. Come è riuscito a trasformare le difficoltà in un sentimento di amore e comunione con il pubblico, come quello che si sentiva così forte sabato sera alla Philarmonie?
«Merito di mia madre Joannie, che ora non c’è più. Il concerto è un omaggio a lei. Mi ha insegnato a prendere le difficoltà e a farne qualcosa, insieme ai miei fratelli e sorelle. La musica aiuta a creare una specie di magia, è un po’ lo spirito della Compagnia del cigno, la serie tv di Ivan Cotroneo con il quale mi è piaciuto collaborare».
Che cosa può dirci della sua squadra di «X Factor»?
« X Factor vive perché non è un karaoke, i ragazzi hanno qualcosa da raccontare. Come i Westfalia, una band influenzata dal jazz, in tv… E poi Fellow, voce unica e potente, e Nika Paris, 16enne che viene apposta dalla Bulgaria e canta in francese. Sono grandi. Magari non siamo la squadra più aggressiva dal punto di vista della competizione, ma chi se ne importa. Possiamo dare un’emozione enorme».
Stefano Montefiori, corriere.it