I dodici finalisti subito in gara con i loro inediti davanti a un pubblico di figuranti: la rivoluzione di X Factor (da giovedì su Sky Uno iniziano i live, ospite Ghali) è nei dettagli. Da una parte la maggiore importanza data ai brani originali rispetto al passato; dall’altra il nuovo palco della Sky Wifi Arena con pubblico «fake» che sarà anche teatro della finale: dunque addio al Forum di Milano e all’effetto Colosseo, con leoni e gladiatori eccitati dal pubblico.
Mika e Manuel
Il Cattivissmo Mika, tanto angelico quanto spietato nei suoi giudizi, confida che Eda Marì, N.A.I.P.e Vergo offrano «una visione alternativa di come può essere la musica pop: una contaminazione di generi, una confluenza di culture e influenze artistiche. Quanto a noi giudici non dobbiamo cadere nella trappola di voler mostrare il nostro ego a tutti i costi, se no diventa una cosa trash». Manuel Agnelli (ha scelto i Little Pieces of Marmelade, i Manitoba e i Melancholia) in questa edizione ha sempre allungato la mano per salvare chi era sul bordo (tanto a spingerli giù ci pensava Mika): «X Factor — spiega — è una fotografia di quello che succede nella musica italiana ed è un megafono importante per tutti i concorrenti, non solo per chi va in finale: ho scelto i gruppi in base alla loro qualità e talento, sono tutti e tre molto contemporanei e riflettono lo spirito di questi tempi musicali».
Emma e Hell Raton
Emma è una che non ha mai paura di mostrare gli occhi lucidi, si muove in equilibrio tra fragilità e forza, due opposti che in lei si fondono: «Blind, Blue Phelix e Santi hanno un’idea ben precisa di quello che vogliono fare, hanno tutti e tre delle storie da raccontare, ed è questo che mi ha spinto a scegliere loro piuttosto che altri perché hanno personalità artistiche ben delineate e solide». Hell Raton (ai live con Casadilego, Cmqmartina e Mydrama) è empatico, ma televisivamente il più acerbo: «Per questi artisti la vera vittoria sarà riuscire a far parlare la loro musica anche una volta usciti di qua». Perché a volte le canzoni sono meglio delle parole.
Renato Franco, Corriere.it