L’attore, 73 anni, ha ancora molte idee per il suo personaggio iconico. “È il mio migliore amico”
A Cannes, un paio di mesi fa, lo aveva detto: “Ho ancora una grande idea per lui, non so se riuscirò a farlo ma ho pensato a qualcosa di totalmente diverso che potrebbe funzionare. Non è importante come colpisci, l’importante è come sai resistere ai colpi, e se finisci al tappeto hai la forza di rialzarsi… in piedi! In piedi! In piedi!”. Sylvester Stallone a 73 anni non è ancora pronto per dire addio a Rocky, se con Creed II sembrava che l’attore e regista avesse optato per un passaggio di testimone definitivo ora a Variety dice: “Faremo un film e una serie tv prequel”.E si sbilancia anche sulla storia di questo ipotetico Rocky VII. “Rocky incontra un giovane immigrato, un arrabbiato che rimane incastrato in questo paese quando viene a trovare sua sorella. Rocky decide di accoglierlo e un’incredibile avventura inizia fin ad arrivare alla frontiera, una storia di attualità”. D’altronde Stallone da Rocky non si separerà mai. Sul palco del Beverly Hills Hotel ritirando il Golden Globe per Creed aveva detto “Rocky Balboa è il mio amico immaginario, il migliore amico che abbia mai avuto”.D’altronde è grazie a lui che Stallone è diventato il divo globale che è. Come ha ricordato a Cannes “Rocky è un film che sulla carta avrebbe dovuto essere un fallimento: con un attore sconosciuto, i produttori avrebbero voluto chiunque al mio posto da Robert Redford a un canguro, parlava di boxe che non è un tema di grandissimo successo in realtà, se ne girano tantissimi e pochi funzionano. È stato girato in 25 giorni da un cameraman che non aveva mai fatto un film, tutti sul set hanno lavorato praticamente gratis, non esisteva il reparto costumi ognuno si portava i propri vestiti da casa. E alla fine quando lo abbiamo finito gli studio non volevano neppure farlo uscire, lo volevano mandare soltanto nei drive-in”. Stallone sognava di fare l’attore ma fino ad allora aveva ottenuto solo piccole parti, seduto nella platea di un cinema si era detto: “Perché non raccontare di ambizione soffocata e sogni spezzati, di persone sedute sul bordo della vita a vedere i loro sogni morire?” E dopo aver passato un mese ad incubare la storia si è messo a scrivere. La leggenda narra che la sceneggiatura venne scritta in soli tre giorni e mezzo compresa una sessione di venti ore filate. Sly, una penna Bic e un blocco di fogli, cominciava a scrivere alle sei del mattino, soltanto alla fine la moglie Sasha l’avrebbe battuta a macchina. Così trasformò il pugile grezzo ma resistente Wepner in un ragazzo italoamericano con pochi mezzi ma tanta passione, esattamente come lui, che lotta per emergere sul ring ma anche nella vita. Le difficoltà economiche, la sopravvivenza nella periferia di Filadelfia, l’amore per Adriana, gli infortuni, l’amicizia, la lealtà. Quella storia faceva gola ai produttori Irwin Winkler e Robert Chartoff che arrivarono ad offrirgli anche 265.000 dollari per la sceneggiatura, ma Stallone aveva messo una condizione: avrebbe dovuto lui interpretare Rocky e non Burt Reynolds, James Caan o Ryan O’Neal, nomi che erano stati fatti dalla produzione.Per prepararsi l’attore, con un passato di guardiano dello Zoo di Central Park (puliva le gabbie dei leoni), di maschera del cinema (venne licenzato per aver cercato di rivendere un biglietto di M.A.S.H. per venti dollari) e di porno attore (il film uscì anche in Italia dopo il successo di Rocky con il titolo di Stallone italiano), per cinque mesi si era allenato sei ore al giorno per diventare un vero boxeur. Il film nel giro di pochissimi mesi si rivelò un successo straordinario di pubblico e critica, con tre Oscar vinti (miglior film, miglior regia e miglior montaggio) e ben sei nomination. Costato poco più di un milione di dollari, ne incassò 225 laureando il suo protagonista e ideatore come stella mondiale. Stallone divenne il terzo uomo nella storia del cinema, dopo Charlie Chaplin e Orson Welles, a ricevere la nomination all’Oscar sia come sceneggiatore che come attore per lo stesso film senza però poi aggiudicarsi nessuna statuetta.”La ragione del successo? – si è chiesto Stallone – Forse il fatto che in un momento così difficile, mentre uscivano titoli come Taxi Driver e Tutti gli uomini del presidente, io da quell’ingenuo che ero ho fatto un film ottimista, su un uomo che non molla, un ragazzo che grazie all’incontro con una donna rinasce. È un pugile ma avrebbe potuto essere un panettiere o uno che aggiustava biciclette. Ma certo la boxe era una metafora forte perché tutti nel mondo, uomini e donne, sanno cosa significa lottare contro la paura, la solitudine, il fallimento. Non bisogna mai mettersi al di sopra delle proprie storie e dei propri personaggi”.
Chiara Ugolini, repubblica.it