Attore per Veronesi diventa moschettiere con Favino e Mastandrea
Un meridionale “che ama il nord”. Si sente così Rocco Papaleo, protagonista di più incontri con i ragazzi al Giffoni Film festival. “Per me amare il nord non vuol dire lasciare il sud, che è la mia radice, la grande madre – spiega -. C’è da trovare ovunque un’attrattiva, una lezione. Io guardo al nord come un posto con qualità da cogliere e mettere in pratica se si vuole. Il nord dovrebbe fare la stessa cosa con il sud. Io credo all’osmosi, al miscuglio, alla razza meticcia, dovremmo essere tutti partecipi di un’unione, non credo in questa rivalità”. L’attore ha presentato in anteprima una clip di Moschettieri del re, la muova commedia di Giovanni Veronesi, in uscita il 27 dicembre con Vision Distribution. Nella storia ispirata a Dumas interpreta Athos, mentre Pierfrancesco Favino è D’Artagnan, Valerio Mastandrea è Porthos e Sergio Rubini è Aramis. Nel cast anche Lele Vannoli, nel ruolo del servo muto del quartetto; Margherita Buy si cala nei panni della regina Anna e Matilde Gioli in quelli della sua ancella. Alessandro Haber è il Cardinale Mazzarino e Giulia Bevilacqua è Milady. Nella storia Papaleo è coprotagonista ma “io non ho problemi a stare in seconda fila, anzi è quella che apprezzo veramente – dice -. Mi piace stare al servizio di un grande attore, e mi commuove di più l’ultima fila, dove si annida l’umanità più interessante, quella che conserva un’autenticità. Ho una grande passione per i piccoli ruoli che ho fatto e che continuerò a fare”. Nella sua carriera gli è capitato in alcuni progetti di dire solo una battuta e c’è anche un film “dove non appaio mai pur essendo nel cast. E’ Il male oscuro di Monicelli, che quel giorno neanche era sul set. Io in una scena ero sulle scale mentre portavano via Giancarlo Giannini ma le scale non le hanno mai inquadrate” racconta sorridendo. La comicità per Papaleo “è un medicinale naturale, fa affluire il sangue al cuore più velocemente. A me non interessa quella sterile, mi piace quella che abbia un contenuto, un rimando, che ti rimane addosso”. Alla ragazza che gli chiede se pensa le serie tv sulla criminalità influenzino negativamente i giovani, l’attore risponde: “Non amo particolarmente il crime, e comunque mi piace di più nelle serie straniere. Il crime della nostra realtà già mi distrugge tutti i giorni, leggendo i giornali e vedendo i tg. Temo sia un pericolo possibile che influenzino i ragazzi, ma è un rischio che non sento, perché ho molta fiducia in voi. Io ho un figlio e mi rendo conto che siete molto meglio di noi quando avevamo la vostra età. Trovo abbiate una personalità più forte e meno influenzabile”. C’è anche il tempo per un momento di commozione, nato dalla domanda di un’adolescente lucana, come lui, che gli domanda quanto siano state importanti le sue origini (e Papaleo non perde l’occasione di scambiare con lei qualche battuta in dialetto): “La famiglia influenza tantissimo, gli devo tutto, non mi hanno ostacolato, ma cresciuto, protetto e lasciato andare. Sono stato per loro credo anche una delusione, perché dopo tanti anni di università non mi sono laureato, ma sono tornato a casa e ho detto che volevo fare l’attore. Loro mi hanno appoggiato e mi hanno anche mantenuto per i primi due anni in cui cercavo di affermarmi. Un sostegno che ho trovato soprattutto in mia madre che due mesi fa se n’è andata e alla quale dedico parte del mio lavoro”. Infine dall’attore, che è stato anche premiato dal Festival, un apprezzamento per i ragazzi di Giffoni: “Le vostre domande sono molto più interessanti di quelle che ricevo di solito – dice -. E’ vero che venire qui è un’esperienza unica, ti resta dentro e scuote noi paludati”.
Francesca Pierleoni, Ansa