“Ci ho messo otto anni prima di realizzare Io Capitano, nell’affrontare una tematica così delicata. In verità, mi sentivo in colpa nel mostrare questa storia dal mio punto di vista di borghese occidentale bianco, temevo di poter cadere nella speculazione sul povero migrante, speculando su chi affronta questo viaggio e muore. Ho sempre creduto che fosse più giusto che lo facesse un regista africano; con il passare degli anni, però, mi sono detto che l’importante è fare il film, farlo insieme”. Così Matteo Garrone in una intervista riflette su Io Capitano, film che ha sbancato con ben sette premi i Nastri d’Argento 2024: miglior film, regia, produzione (Archimede con Rai Cinema e molti partner internazionali), fotografia di Paolo Carnera, montaggio di Marco Spoletini, sonoro in presa diretta di Maricetta Lombardo e il miglior casting director Francesco Vedovati.
“Ringrazio tutti i giornalisti che mi hanno votato. I premi aiutano a dare visibilità. Siamo tutti molto orgogliosi del percorso che ha fatto questo film, di essere arrivato agli Oscar, ai Golden Globe (il film ha vinto poi sette David e a Venezia il Leone d’argento alla regia, ndr) e di aver avuto anche un grande successo di pubblico nonostante sia uscito in lingua originale, infatti ha raggiunto i 5 milioni di euro. L’obiettivo – continua Garrone – era umanizzare i numeri che siamo abituati a sentire in tv. Sapevamo che la politica non sarebbe cambiata, ma potevamo sorprendere lo spettatore raccontandogli una parte di viaggio che non conosceva”.
Quanto incide la politica nella scelta dei tuoi film? “In questo caso c’è un tema così delicato, drammatico che implica inevitabilmente un piano di lettura politico. Ma in generale, quello che mi spinge a fare un film è mettere al centro l’uomo e i suoi conflitti. Io Capitano forse è il mio film più popolare, ovvero il viaggio di un eroe che, a differenza di altri miei lavori, è senza ombre. Un eroe che combatte per il diritto a viaggiare, un diritto che tutti dovrebbero avere e per il diritto alla vita contro il sistema di morte. E questo di fronte a un’Europa che diventa sempre più una fortezza”. Come l’ha cambiata il film? “La realtà che ho raccontato è sicuramente addolcita rispetto a quella vera. Alcuni racconti che mi hanno fatto erano quasi impossibili da mettere in scena, erano di una crudeltà insostenibile e rischiavano così di sembrare inverosimili. Quello che mi è rimasto dentro è sicuramente la grande capacità umana e il coraggio di queste persone che combattono per dei diritti che dovrebbero essere scontati e sempre con una grande carica vitale. È stato un viaggio che mi ha segnato più di altri anche perché sono entrato in una cultura che non era la mia, in una lingua che non era la mia”.
Dipinge ancora? “Ho smesso a 26 anni, ma il cinema è una forma d’arte in cui c’è anche la pittura e così non mi manca perché quando giro un film la parte visiva pittorica resta centrale nella scelta di un soggetto”. Cosa c’è nel futuro di Garrone? “Mi piacerebbe tanto poter dire che ho un altro progetto, ma non è così. Io Capitano mi sta ancora portando in giro per il mondo e devo ancora innamorarmi di una nuova storia”. Infine, i Giornalisti Cinematografici hanno premiato anche con un riconoscimento speciale i due protagonisti di Io Capitano Seydou Sarr e Moustapha Fall.
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