Il più gustoso, intelligente, perfetto, imperdibile film americano dell’anno? Senz’altro “Green Book“. Esce da noi il 31 gennaio. È candidato – solo – a 5 Oscar, tra cui miglior film, miglior attore protagonista (Viggo Mortensen, nella più strepitosa performance della sua carriera), miglior attore non protagonista (Mahershala Ali, ha vinto già il Golden Globe). Temo però che questo gioiello avrà solo statuette di consolazione. C’è un perché. L’Academy è diventata – da un paio di decenni almeno – il cuore democratico della democratica California. Sacrosantamente, usa gli Oscar come statement politico. Se il copione sarà rispettato, “Roma” deve essere il miglior film. Non solo per merito, anche perché se premi il Messico di Cuarón rispondi a Trump. Per le stesse ragioni, l’Oscar potrebbe bissare il Golden Globe al trasformismo di Christian Bale, l’impressionante Dick Cheney di “Vice”. C’è il precedente di Gary Oldman – il Churchill de “L’ora più buia” – ma soprattutto “Vice” è un film-verità sul Grande Burattinaio delle ultime amministrazioni repubblicane. E Mahershala Ali? Ha già vinto due anni fa per il supporting role in “Moonlight”. Una replica tanto ravvicinata, possibile ? C’è il rischio che a “Green Book” vadano solo la Sceneggiatura Originale e il Montaggio. Sarebbe un vero peccato. Che almeno il grande pubblico se lo goda, quel pubblico che lo ha fatto trionfare, su tutti, al Festival di Toronto. Ma cos’è “Green Book”? È l’incredibile balzo di Peter Farrelly, l’uomo che in coppia col fratello Bob ha reinventato la commedia Usa, prototipo cult “Tutti pazzi per Mary”. È un film che con leggerezza e senza prosopopea riesce a dire qualcosa di nuovo sulla discriminazione razziale negli Stati sudisti del 1962, rinverdendo la formula del road movie birazziale alla “A spasso con Daisy”. Ma qui la storia è autentica: due mesi di vita vissuta dal celebre pianista di colore Donald Shirley e dall’italoamericano Tony ‘Lip’Vallelonga, assoldato per fargli da autista in un tour negli Stati segregazionisti. Siamo nell’America dei Kennedy, dove la grande Bessie Smith muore a Clarksdale, Mississippi, perché gli ospedali dei bianchi non hanno voluto ricoverarla. Il Green Book è la speciale guida di cui si dotavano gli automobilisti di colore per “viaggiare senza seccature” nelle aree a rischio, evitando locali e motel a loro preclusi. Il musicista (Mahershala Ali) è una star di successo, un virtuoso del pianoforte, ricco, colto, elegante, di casa alla White House. L’autista è un buttafuori del Bronx, grossolano, mangiatore insaziabile, all’occorrenza manesco, ma dal cuore d’oro. E Viggo, ingrassato di 15 chili, si è cucito addosso accento e gestualità del vero Tony, anche con l’aiuto di suo figlio Nick Vallelonga, che firma il film da co-sceneggiatore e produttore. La chimica tra questi due opposti, che impareranno a conoscersi e a rispettarsi per poi restare – nella vita reale – amici per sempre, è semplicemente prodigiosa. Nelle lussuose residenze private e nei ricchi residence dove applaudono il virtuosismo del suo “trio”, Shirley non può usare il bagno dei bianchi, né il loro ristorante, né i loro negozi, quando infrange le regole sono botte e insulti. Ma ha un angelo custode capace di menar le mani e di corrompere i poliziotti. Sarà brutto, ma quando ci vuole… Tony non è un liberal, anzi. Nel suo Bronx i “negros” li chiama “melanzana”. Ma il razzismo, per strada, colpisce anche lui: “Italiano? Allora sei mezzo negro anche tu!”. Applausi a scena aperta quando per far uscire la coppia dal carcere interviene il Governatore: il pianista ha dato un colpetto di telefono al suo amico Bob Kennedy. Lo scambio, tra i due, è spassosissimo e altamente formativo. Tony fa scoprire al virtuoso allevato a Chopin (lui lo storpia in Joe Pen) le meraviglie di Aretha Franklyn, Sam Cooke, Little Richard (“Come fai a non conoscerla, Doc? È la tua gente!”). Shirley, come Cyrano, gli detta ispirate – e ortograficamente corrette – lettere d’amore alla moglie lontana. L’apoteosi – prima del finale natalizio da lacrime “buone” – è una travolgente jam session in un localaccio dell’Alabama, perché il musicista ha disertato il concerto per i ricconi razzisti.