Don’t look up”, il film Netflix è davvero il capolavoro che tutti stavamo aspettando?

Don’t look up”, il film Netflix è davvero il capolavoro che tutti stavamo aspettando?

Il 24 dicembre è finalmente uscito su Netflix, dopo essere stato distribuito nei cinema da inizio mese, Don’t look up, film del genere “disaster movie” con protagonisti Leonardo Di Caprio e Jennifer Lawrence insieme a un super cast di grandi star hollywoodiane, da Meryl Streep a Cate Blanchett, da Timothée Chalamet a Jonah Hill e tantissimi altri ancora.

Nelle settimane e nei mesi precedenti alla sua uscita, Don’t look up ha fatto parlare di sé moltissimo: per la sua storia – due scienziati provano ad avvertire il mondo dell’imminente impatto di una cometa in grado di sterminare la Terra – per il suo cast incredibile e per una serie di aneddoti dal set (come quello su Meryl Streep inizialmente offesa perché i colleghi la chiamavano “goat”, che vuol dire capra ma che sta per “greatest of all time”; o come quello su Lawrence che ha voluto fumare una canna per immedesimarsi nel suo personaggio).

Per questi motivi l’hype – o l’attesa – per Don’t Look Up era a livelli altissimi. Ora, dopo averlo visto, vi proponiamo la nostra recensione del film, che cercherà anche di rispondere alla domanda “ma alla fine era davvero il capolavoro che tutti si aspettavano di vedere?”.

Don’t look up, la trama del film

Si può dire che in un certo senso dentro Don’t look up ci sono diversi piccoli film. Il primo inizia con la dottoranda in astronomia Kate Dibiasky (Lawrence) che scopre per caso una cometa, la mostra al suo professor Randall Mindy (Di Caprio) il quale si rende conto che l’asteroide è destinato a schiantarsi sulla Terra nel giro di sei mesi, con conseguenze letali per tutti gli esseri viventi.

I due ottengono l’attenzione del dottor Oglethorpe (Rob Morgan), a capo dell’ente di difesa planetaria, e della NASA, ma quando vengono ricevuti alla Casa Bianca la presidente Janie Orlean (Streep) e il suo figlio-portavoce Jason (Hill) non danno loro retta perché sono più preoccupati dalle elezioni di metà mandato che da un imminente disastro.

E qui inizia il secondo film, con gli scienziati impegnati in un tour mediatico per convincere l’opinione pubblica: a dire il vero, la carriera del prof. Mindy ha una discreta svolta anche personale, mentre quella di Dibiasky non va oltre i meme in cui viene presa in giro per un suo scatto d’ira durante uno show pomeridiano.

Don’t look up, i possibili significati del film

Ci sono diverse teorie e interpretazioni metaforiche-allegoriche di questo film in cui gli scienziati avvisano l’umanità di un pericoloso disastro imminente ma vengono sostanzialmente snobbati o sottovalutati dalla politica e dalle persone in generale.

Il giornalista Fabrizio Rondolino, ad esempio, ha parlato di Don’t look up come del “più accurato documentario scientifico sulla pandemia”, per sottolineare come la voce della scienza sia stata, negli ultimi due anni, troppo spessa coperta da quella della politica e del sentire comune.

La teoria più popolare per interpretare questo film, ripresa tra gli altri da Entertainment Weekly, è quella secondo cui il disastro astronomico raccontato da Adam McKay (regista di questo film, nonché della serie tv Succession) è una metafora del dibattito mondiale sul cambiamento climatico e sulle relative conseguenze per il nostro pianeta.

Sì, insomma, l’asteroide rappresenterebbe i drammatici cambiamenti climatici in atto, e l’indifferenza delle reazioni agli avvertimenti degli scienziati sarebbe quella di cui tutti, chi più chi meno, stiamo dando prova in questi anni.

Sia come sia, è innegabile che Don’t look up rispecchi un atteggiamento piuttosto diffuso nella società attuale, così tanto colpita da avvertimenti e minacce drammatiche da non farci più caso, coltivando un’illusoria speranza che in qualche modo tutto si aggiusterà, o che comunque il disastro riguarderà chi verrà dopo di noi. In tal senso, il film è davvero riuscito a cogliere nel segno.

Cosa non ci ha pienamente convinto del film

Dove Don’t look up non ci ha convinto del tutto, invece, è nella sua capacità di raccontare una storia tenendo in equilibrio il super cast a disposizione. In pratica, se possiamo permetterci una critica, è come se McKay non fosse riuscito a tenere in mano tutte le carte del mazzo, finendo con il perdere qualche pezzo o per sfruttare poco alcuni assi. 

Senza considerare che, ad esempio, ancora in fase di promozione del film tra i nomi figurava anche Matthew Perry, il Chandler di Friends le cui scene sono state poi tagliate, l’impressione è che il regista-sceneggiatore abbia esagerato nel riunire troppe star senza avere abbastanza battute significative per tutti. E così, per un Jonah Hill che riesce a ritagliarsi il suo spazio, ci sono uno Chalamet e una Blanchett che sembrano “sacrificati”, mentre Ariana Grande e il suo fidanzato (nel film) Kid Cudi sembrano infilati nella trama giusto per accalappiare anche un pubblico più giovane. 

Allo stesso modo, Mark Rylance, nella parte del simil-Zuckerberg ceo di BASH, svolge perfettamente il suo ruolo, ma Rob Morgan appare un po’ troppo sacrificato nella parte del professor Oglethorpe. 

Insomma, Don’t look up lascia un po’ l’impressione che si sarebbe potuto rappresentare un film più incisivo, se ci si fosse concentrati di più sulla storia e di meno sul cast. Cionondimeno, è innegabile che il risultato finale sia comunque di ottima fattura, anche se, probabilmente, non la migliore possibile.


Today.it

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