Dalla California al Texas, dall’Ohio a New York. L’ultimo mese del 2019 per Andrea Bocelli è un serrato coast to coast di concerti in cui si sta godendo gli applausi del pubblico americano dopo il trionfo del disco «Sì»: l’album ha venduto oltre un milione di copie in un anno, è andato in vetta alle classifiche statunitensi e inglesi (prima volta per un italiano), ha conquistato una candidatura ai Grammy e a fine novembre è stato ripubblicato da Sugar nella versione speciale «Sì Forever – Diamond edition».
Dopo sei candidature ai Grammy, questa volta arriverà la vittoria?
«Non mi preoccupo per la vittoria. Mi preoccupo di fare bene il mio lavoro che consiste nel trasmettere emozioni positive»
Cosa ha funzionato così bene nel disco?
«È stata una sorpresa inaspettata. Forse anche la presenza di mio figlio Matteo è stata importante».
Che emozioni le dà cantare con suo figlio?
«Una grande emozione, anche perché nessuno se lo aspettava. Ha manifestato il desiderio improvviso di cantare, non lo aveva mai fatto prima. Dice di essere in soggezione e ha raccontato che si vergognava di cantare anche davanti a me. Mi ha stupito, ma a fare i genitori si impara sempre».
Che consigli gli ha dato?
«Per prima cosa, di finire il conservatorio, quello è il minimo. E poi ho cercato di trasmettergli quel che ho appreso, di dirgli che niente viene da solo, che i risultati arrivano lottando, e non c’è nulla di più vero del proverbio che dice “volere è potere”».
Il 21 giugno si esibirà alle Terme di Caracalla. Come si affronta un concerto così importante?
«Ripenserò a quella sera del 1990 quando le tre voci più importanti al mondo, i Tre Tenori, cantarono nello stesso posto. E spero di essere in buona forma per fare bene».
La Prima della Scala quest’anno è stata molto seguita in televisione: un buon segno per la lirica?
«Mi fa molto piacere il successo di un’opera fantastica come “Tosca” e di un soprano come Anna Netrebko che è anche un’amica. L’opera italiana è un tesoro che il mondo ci ammira e invidia».
Di Netrebko si è parlato anche perché è inciampata in un errore: come si gestiscono gli sbagli sul palco?
«Sbagliano anche i capocannonieri. Io quando sbaglio la prendo male, ma non va bene: non bisogna essere troppo accondiscendenti con se stessi, ma al tempo stesso è necessario anche ricordarsi che siamo umani».
Come avvicinare il grande pubblico alla lirica?
«La lirica ha bisogno di campioni, proprio come lo sport! È una forma di spettacolo dagli alti valori e contenuti, ma è pur sempre “spettacolo”. Dovremmo reimparare a fare marketing, a partire dalla promozione sui personaggi. E in questo senso, il pubblico resta più lento rispetto al privato. Noi addetti ai lavori dobbiamo fare il primo passo, anche uscendo dai teatri e andando nelle arene, nelle piazze, in televisione».
Con il 2019 si chiude un decennio: come si immagina fra altri 10 anni?
«Da uomo di fede, mi affido ai progetti del cielo. Se il prossimo Capodanno fosse quello del 2030, mi piacerebbe poter festeggiare almeno alcuni dei 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite: povertà zero, fame zero, educazione di qualità, parità di genere… Un sogno. Però se sogniamo insieme, i sogni, almeno in parte, si avverano. Quanto a me, spero in nuovi concerti. E poi, certo, di invecchiare accanto a mia moglie e assistere alla realizzazione dei miei figli».
Questo è stato, fra le altre cose, il decennio del «MeToo» che ha coinvolto anche la lirica…
«L’abuso delle posizioni di potere temo sia una piaga universale, ancor più grave quando perpetrata attraverso ricatti di natura sessuale. Ritengo però altrettanto grave quando la gogna mediatica si abbatte sul mostro presunto prima che la giustizia abbia fatto il suo corso. Ciò detto, ovunque l’espressione femminile sia soffocata nella prevaricazione e nella mancanza di pari diritti, è una condizione da combattere».
Barbara Visentin, Corriere.it