Angelo Branduardi: “Dico no alla tv, sono un artista di nicchia”

Angelo Branduardi: “Dico no alla tv, sono un artista di nicchia”

«L’ultimo mio ricordo in televisione? Una puntata di Odeon curata da Paolo Giaccio del 1976 in cui cantavo Alla fiera dell’Est all’Abbazia di Chiaravalle vicino a Milano, in un giorno in cui nevicava abbondantemente». Così Angelo Branduardi (70 anni a febbraio 2020) che torna alla ribalta con un disco assolutamente anomalo, Il cammino dell’anima su musiche e testi dell’anno mille di Hildegard von Bingen, monaca, badessa, dottore della chiesa, santa. Ma anche erborista, diplomatica che parlava direttamente con papi e imperatori e anche scopritrice delle proprietà del luppolo, ingrediente fondamentale della birra.

Branduardi, oggi in tv non la si vede mai. Cosa ha fatto nell’ultimo decennio? «Quello che preferisco: ho fatto l’artista di nicchia in Italia e soprattutto all’estero. Ho attraversato il più bel periodo di tutta la mia vita. Tanti anni fa un dirigente di una casa discografica sentenziava: “Ai concerti con questo repertorio avrete 20 spettatori in costume da bagno…”».

E invece? «Invece è successo che in più occasioni il mio repertorio e la mia persona finissero per incrociare il mainstream. Ovvero la testa alle classifiche. Oggi i bambini non sanno chi è Branduardi, ma ben conoscono “il topolino che al mercato mio padre comprò”. E questo dà all’artista la sua piccola immortalità».

L’estasi della fede l’ha rappresentata nel 2000 nell’opera «L’infinitamente piccolo» sulla vita di San Francesco e oggi si cimenta con canzoni ispirate a Hildegard von Bingen: si stenta a credere che l’artista sia lo stesso di «Cogli la prima mela» o «La luna». «E perché? Ogni canzone, ogni musica ha un’origine sacra. La musica con la M maiuscola è sempre stata strettamente correlata alla religione. Lo sciamano o lo stregone grazie alla musica acquisivano poteri soprannaturali. A ben vedere l’incontro fra religione e musica ha prodotto opere straordinarie con Mozart, Bach e lo stesso Verdi nel suo Requiem. Come dice Morricone, con il quale ho lavorato a lungo, “la musica è l’arte più astratta, la più vicina all’assoluto”. Non pretendo di essere un ambasciatore dell’assoluto, ma sono convinto che anche una canzone da tre minuti possa essere una visione. La musica è impalpabile eppure è capace di produrre stupore creando un legame fra anima e corpo».

Com’è arrivato a occuparsi di santa Hildegard? «Ne avevo sentito parlare ma conoscevo la sua storia in maniera superficiale. Di famiglia ricchissima e nobilissima viene messa in convento a 8 anni anche per la sua salute cagionevole. In pochi anni diventerà il “suo” monastero: metterà in scena con le consorelle opere teatrali, inventerà diete salutiste tuttora usate. Negli anni 70 è stata un mito delle femministe».

Una carriera anomala la sua, Branduardi? «Con immodestia lo ammetto. Non mi sono mai imposto nulla. Con “La luna” ho anticipato la new age; con “L’infinitamente piccolo” ho lanciato la musica etnica».

Il suo rapporto con la tecnologia? «Ottimo. Ho tre siti dove nessuno mi ha mai insultato. Non so molto della musica d’oggi. Mi piace Fabri Fibra anche se mi dicono che sia già superato».

Progetti a breve? «Un tour nel Nord Europa fino a Natale. Partenza con le canzoni del disco “Il cammino dell’anima” e finale con “Alla fiera dell’est”».

Mario Luzzatto Fegiz, Corriere.it

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