La biografia che fa piazza pulita dei luoghi comuni sul regista
Le monografie italiane su John Carpenter, cineasta fra i più influenti di sempre, si contano sulle dita di una mano.
A rimedio della parziale lacuna, il cinefilo Stefano Falotico ha consegnato alle stampe il volume John Carpenter Prince of Darkness (Youcanprint Edizioni). Lo stile di scrittura di Falotico, rigonfio di aggettivi e avverbi magniloquenti, può piacere o no a seconda delle predilezioni, ma quel che conta è che egli mostra di aver capito, e compiutamente metabolizzato, l’universo creativo del papà di 1997: Fuga da New York e Il seme della follia. Dopo un prologo poetico, nel quale l’autore descrive con linguaggio oscuro le ragioni che lo hanno spinto a scrivere di Carpenter e non di qualchedun altro, si giunge alla disamina delle pellicole.
La tesi principale del libro è che bisogna fare piazza pulita dei luoghi comuni sul regista. Da un lato c’è chi lo mitizza, dall’altro c’è chi lo considera un artista troppo sopravvalutato. Falotico, ponendosi nel mezzo, ribadisce a più riprese che Carpenter è un genio assoluto e che molte delle cose che ha fatto meritano una rivalutazione, ma ciononostante la filmografia del maestro contempla pure titoli meno riusciti. Tra quelli meritevoli di riscoperta viene segnalato Essi vivono, storia di alieni che tengono in scacco l’umanità obbligandola al consumismo più sfrenato. Stesso discorso vale per Grosso guaio a Chinatown da considerarsi un film alla Carpenter, ovvero animato da una filosofia di fondo secondo la quale il Male è tra noi, proteiforme come l’extraterrestre che insidia gli scienziati all’interno di una base antartica in La cosa, oppure con le fattezze dell’assassino Michael Myers come in Halloween La notte delle streghe.
C’è un filo rosso che tiene legate insieme tutte le opere di Carpenter, dal capolavoro Distretto 13 d’inizio carriera all’ultimo capitolo della «saga di Halloween», che uscirà in Italia il 25 ottobre e di cui, pur non essendo regista, ha seguito con occhio vigile l’evoluzione.
A settant’anni suonati, il «guru» è ben lungi dal pensionamento. Dato più volte per spacciato, a causa dei frequenti insuccessi al botteghino, ha il potere di rinascere come l’araba fenice. Come il maniaco Myers.
Il Giornale