Da Fedez a Phelps, tanti ospiti per un share del 12,07%. Nuova stagione, ‘vecchia’ formula (che funziona sempre)
È tornato Che tempo che fa, nella nuova formula “all inclusive” che di fatto riunisce in una sola serata quello che fino allo scorso anno accadeva in due (sabato e domenica). Tre ore di programma che però non contengono chissà quali novità, così come promesso dai promo e dai proclami di conduttori e dirigenti Rai. È la stessa formula di sempre, con l’unica differenza di aver concentrato tutto in un’unica puntata.
La prima parte è la classica puntata della domenica, con interviste singole a grandi ospiti. Domenica sera è arrivato addirittura Michael Phelps, il leggendario nuotatore americano, reduce dall’ennesimo trionfo olimpico di Rio. E poi Amalia Ercoli Finzi, ingegnere aerospaziale, la “mamma della missione Rosetta”, donna di spirito dotata di una naturale simpatia che ha conquistato parecchi spettatori e commentatori sui social network. Per la parte musicale, prima del consueto arrivo di Luciana Littizzetto, si è esibita la cantante americana LP, autrice di “Lost on you”, uno dei pezzi più ascoltati dell’estate.
Conclusasi la parte “Che tempo che fa”, è poi arrivato il momento del talk al tavolo, che lo scorso anno andava in onda di sabato con Che fuori tempo che fa. Ospiti di Fazio, a parte Nino Frassica che sarà presenza fissa di questo segmento, Lino Banfi, Fedez, J-Ax, Fabio Volo, Gigi Marzullo, Rossella Fiamingo e l’ex calciatore neosessantenne Paolo Rossi. “Che fuori tempo che fa”, cominciato alle 21.29 e di fatto la proposta di prima serata di RaiTre, ha ottenuto 2.293.000 spettatori e uno share del 9,7% (terza rete dopo Canale5 e RaiUno), mentre le interviste classiche della prima parte hanno fatto meglio, con 2,8 milioni di spettatori e uno share del 12,07%.
Un buon risultato, per l’esordio stagionale di Fabio Fazio, anche se di novità non ne abbiamo viste affatto. Poco male, perché il programma continua a funzionare, rodato com’è, e nonostante i momenti di noia e i ritmi blandi che ogni tanto fanno capolino tra un’intervista e un talk collettivo, “Che tempo che fa” si conferma uno dei programmi qualitativamente migliori della tv italiana. Forse è la cosa più “americana” trasmessa dalla tv italiana, anche se il modo di condurre (e soprattutto di intervistare) di Fabio Fazio lo adegua forse troppo alle abitudini italiche. È strano davvero, il caso del conduttore ligure. Ha sempre ottenuto risultati considerevoli in termini di audience, è stato protagonista negli anni di alcuni tra i successi più clamorosi della tv italiana, ha firmato e condotto programmi innovativi e scritti come Dio comanda. Eppure in molti continuano a criticarne il modo di condurre e soprattutto di intervistare gli ospiti. Troppo blando, troppo soft, troppo poco incisivo.
Di sicuro non è David Letterman, ma lo sa anche lui. Ma nonostante i limiti del programma e dei conduttore, “Che tempo che fa” è ancora una delle cose migliori in onda sui canali generalisti italiani. E Fabio Fazio, destinatario di una ondata di antipatia che fatichiamo a comprendere, si conferma uno dei migliori conduttori in circolazione. In molti gli imputano la sua naturale impostazione radical chic, da sinistra anni Novanta, a metà strada tra l’Ulivo prodiano e l’immaginario veltroniano, per intenderci. Eppure ieri sera si è messo persino a canticchiare “Vorrei ma non posto”, mentre Fedez e J-Ax cantavano uno dei tormentoni dell’estate. Il Nostro, dunque, sta provando disperatamente a mostrarsi più nazionalpopolare, più al passo con i tempi, più vicino alle tendenze “basse”. Fossimo in lui, però, lasceremmo perdere. Fabio Fazio è Fabio Fazio proprio perché rappresenta ormai da 20 anni un certo mondo di fare tv e anche di rappresentare culturalmente e “ideologicamente” una precisa fetta sociale italiana.
Il problema è che ultimamente essere radical chic sembra una colpa terribile, un difetto imperdonabile. Non c’è niente di male a esserlo, caro Fazio. Lei, anzi, è l’ultimo sopravvissuto per quanto riguarda l’intrattenimento televisivo. Resista, non se ne vergogni, lo rivendichi anzi con un certo orgoglio. Passeranno, prima o poi, questi tempi balordi in cui il “gentismo” più spinto ha preso il potere.
Domenico Naso, FQ Magazine