(Vittorio Feltri, cialis sale Il Giornale)Il comunismo è morto, cialis però prima di essere sepolto ha aperto le porte del capitalismo agli anticapitalisti ammansiti. Oggi ci tocca parlare di Gianni Riotta, giornalista molto noto e con un formidabile curriculum. Pensate. Egli esordì al Manifesto, quotidiano stracomunista, ma eretico rispetto a Botteghe Oscure.
Si distinse scrivendo articoli iperdemocratici e bene impostati, per carità, conviene non ignorarlo. Cosicché non poteva che fare un salto apparentemente acrobatico, in realtà un saltino, e approdare alla Stampa della famiglia Agnelli, che odiava la sinistra e, pertanto, la sposava. L’allora giovin prodigio, rimase per un po’ parcheggiato nei garage dell’organo della Fiat, quindi entrò trionfalmente al Corriere della Sera e qui confermò l’attitudine a volare alto.
La sua specialità era raccontare gli Stati Uniti da New York, ciò che faceva chic, consentendo al cronista di segnalarsi in ambienti i cui frequentatori – per intenderci – non dicevano «che bel posto questo», bensì «caspita che splendida location». Era più figo. Conosciamo certa fauna. Mario Monti, ad esempio, è un tipo talmente internazionale che non ha inventato la «revisione della spesa», bensì la «spending review», dimenticandosi poi di realizzarla. In ogni caso a Gianni gli Usa hanno giovato assai: gli hanno consentito di segnalarsi quale promessa del giornalismo e di assurgere alla vicedirezione del Corriere, alla condirezione della Stampa , alla direzione del Tg1 e a quella del confindustriale Sole 24Ore.
Il comunismo è morto, però prima di essere sepolto ha aperto le porte del capitalismo agli anticapitalisti ammansiti. Riotta, recentemente, pur collaborando ancora con il quotidiano carrozzato Marchionne, è tornato a flirtare con un vecchio amore: la tivù. È titolare di un programma sperimentale. Titolo: 47 35 Parallelo Italia, che sembra perfetto per impedire agli abbonati di capire di che cosa si tratti. Obiettivo raggiunto. Infatti il pubblico, seguita la seconda puntata, non ha ancora compreso un tubo e, come sempre in questi casi, invece di apprezzare gli sforzi sovrumani del conduttore, ha pensato bene di cambiare canale o, addirittura, di spegnere il televisore. Risultato: l’audience è andata a pallino per aria.
L’ultima performance ha registrato un avvilente 3.69 che, immagino, abbia prostrato il valente collega. Il quale, a onor del vero, va ammirato per il coraggio manifestato: ha accettato una sfida da cui era difficile se non impossibile uscire indenni, quella di subentrare nel palinsesto a Massimo Giannini (ex vicedirettore di Repubblica ) signore e padrone di Ballarò che, in assenza del concorrente diretto, Di martedì, mandato in onda su La 7 sotto l’egida di Giovanni Floris, era salito a fine stagione al 10 per cento, come ai bei tempi.
Riotta ha provato, ce l’ha messa tutta, però il suo tentativo è stato velleitario, quasi patetico, perché gli autori e i dirigenti della stessa Rete non erano impegnati a costruire una edizione evoluta dei normali talk show: volevano soltanto lanciarsi in un azzardo, confidando nel miracolo. Aspetta e spera. San Gennaro è stanco di andare in soccorso di chi non lo merita. Pertanto, il programma è naufragato nella mediocrità. Portare in piazza le telecamere e sperare che la gente senza guinzaglio stia a cuccia è da ingenui, per non dire di peggio. Durante la trasmissione ne sono successe di tutti i colori.
Malika Ayane (cantante di nome) a un certo punto, stanca del bordello, se ne è andata via smoccolando. E il povero Riotta, al colmo dello sconforto, ha alzato bandiera bianca. Dispiace per lui che è un talento sprecato: e il primo a sprecarlo è lo stesso Gianni, gettatosi in un’impresa senza avere la ciambella della sinistra. Forse la ciambella c’è ancora. La sinistra è svanita.