Vasco Rossi, la storia in tv prima del concerto di Modena

Vasco Rossi, la storia in tv prima del concerto di Modena

Il 26 giugno Techetecheté ha dedicato un’intera puntata al rocker: la biografia, la carriera, le canzoni

“Voglio trovare un senso a questa sera, anche se questa sera un senso non ce l’ha”. Chissà se quando scrisse queste parole Vasco Rossi poteva anche solo sognare un evento come il concerto del 1° luglio al Modena Park. Una città che si ferma per celebrare i 40 anni della sua carriera, 220mila cuori che battono solo per lui. Un record mondiale. Eh no, quella sera un senso ce l’ha eccome.

LO SPECIALE

Per capirlo bastava guardare lo speciale andato in onda ieri sera Su Rai 1, subito dopo il tiggì. Un’intera puntata di ‘Techetechetè’ dedicata al Blasco: ‘Vasco è rock’, il titolo. Quarantadue minuti e ventisei secondi di musica, parole, emozioni. Il filo rosso sono le interviste che negli anni il Kom ha concesso a Vincenzo Mollica.

“Io non voglio essere un esempio, sono una rockstar – spiega guardando negli occhi il giornalista della tv di Stato -, esprimo le mie idee, ma non sono uno che spinge i giovani a farsi del male”. Perché “una vita spericolata” è una vita intensa, senza compromessi, anche correndo qualche rischio magari. Ma è l’unica che, per Vasco, valga la pena di essere vissuta.

Come la sua, iniziata sessantacinque anni fa a Zocca, nella provincia modenese. “Ho la passione per la musica da quando avevo dieci anni, ricordo che mamma mi portava ai concorsini”. Ma prima veniva lo studio: ragioneria, poi Economia e Commercio. “Diversi parenti avevano frequentato quella Facoltà, mio padre volle che lo facessi anch’io”, racconta Rossi. “Dopo un po’ cambiai e mi iscrissi a Psicologia, ma non ho finito praticamente niente”. La musica chiamava. “Papà è morto a 56 anni, non ha visto questo straordinario successo che poi c’è stato, sarebbe stato orgoglioso di me”.

“Come comincerebbe un racconto su Vasco Rossi?”, chiede Mollica. La risposta del rocker è senza tentennamenti, così: “Quella volta che andai a Sanremo”. E’ il 1982 quando porta sul palco dell’Ariston ‘Vado al massimo’. “Andai a fare il provocatore”, confessa. D’altronde, “poeta è una parola troppo grossa per me, preferisco cantautore, sono un provocautore”. Così doveva apparire allora in un’Italia appena uscita dai cupi anni Settanta. I filmati Rai lo raccontano bene. I primi, timidi, colori della tv mostrano un Vasco che indossa magliette rosse e pantaloni gialli. Nella trasmissione ‘Tip tap’ buca lo schermo con i suoi occhi azzurri, i gesti istrionici e caricati, la sigaretta in bocca.

Il chiodo è ancora di là da venire. Ma già nei suoi testi piccole gocce di malinconia viaggiano nel vento della leggerezza. E arrivano. Scorrono sullo schermo ‘Sally’, ‘Albachiara’, ‘Jenny’. “Quando la cantai ad una Festa dell’Unità – racconta il Blasco a Panariello nel 2001 – a un certo punto fui interrotto dalla voce dell’altoparlante che urlava ‘Al tappo, signori, al tappo si vince sempre’”.

Dopotutto, spiega a Mollica sei anni dopo, “la canzone può essere perfetta, ma la persona che la fa non lo è”. Sì, ma come nasce una canzone? “Le parole vengono fuori dalla musica”. Magari quella di ‘Una canzone per te’, suonata sul palco di ‘Buon compleanno Tv’ nel 1984: “Ma le canzoni/ son come i fiori/nascon da sole/…e a noi non resta/ che scriverle in fretta/ perché poi svaniscono/ e non si ricordano più”.

Antonio del Prete, Il Resto del Carlino

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