La Rai del futuro dovrà fare ‘cultura’ ma rendendola accessibile a tutti. Dovrà rappresentare un traino fortissimo della digitalizzazione del Paese
Chi tra i lettori fosse interessato a contribuire al dibattito può scrivere all’indirizzo serviziopubblico@key4biz.it. Tutti i contributi saranno raccolti in un eBook dall’editore goWare.
Raccolgo ben volentieri la suggestione lanciata da Flavia Barca e da Raffaele Barberio su Key4Biz sul ruolo del servizio pubblico da oggi ai prossimi anni.
Vado dritta al punto, senza girarci troppo intorno, dato che in questi anni sono stati spesi da parte della classe politica fiumi di parole su questo argomento.
Cosa deve fare un servizio pubblico per meritarsi di essere riconosciuto come servizio pubblico?
Quale è la sua “Legitimacy”?
La prima risposta la vedo scritta molte volte in questa discussione, a cominciare dalle chiare parole di Flavia Barca: “…Il ruolo del pubblico si giustifica solo ed esclusivamente qualora offra un servizio unico e che produce bene pubblico…” e ancora: “…Il servizio pubblico ha, quindi, un mandato, quello di programmare un palinsesto che aiuti a migliorare le competenze e quindi le condizioni di vita delle persone…”.
Il Governo in questi mesi ha messo in campo una azione molto forte sui temi culturali. Ha riportato il bilancio del MIBACT a sopra i 2 miliardi con la Legge di Stabilita del 2016, ha iniziato un processo riformatore del ministero stesso, delle sovrintendenze, dei musei, e in fine è in discussione la nuova legge-quadro su cinema e audiovisivo e si appresta a discutere quella sullo spettacolo dal vivo.
Ecco, questo investimento a tutto campo sui temi della Cultura passa fortemente anche dal servizio pubblico, mettendo in campo un percorso articolato riformista che si sviluppa su tre azioni:
1) La legge sulla riforma della governance di Rai. Per valorizzare il ruolo industriale di Rai serve dotarla di una guida certa, e responsabilizzata. E serve un Parlamento che svolga la sua piena funzione di indirizzo, vigilanza e controllo chiara e trasparente.
2) La riforma del canone per dare più risorse e risorse certe all’azienda.
3) Il rinnovo della Concessione e il nuovo Contratto di servizio per ridefinire mission e perimetro, per informare in modo completo e pluralista, per raccontare il territorio e la realtà contemporanea, per intrattenere tutti gli italiani, per garantire l’accesso alla conoscenza, per diffondere la cultura e l’inclusione digitale del Paese, per promuovere l’Italia all’estero.
Credo che questi siano gli ingredienti per una buona ricetta. Ingredienti che sono venuti fuori dagli interventi di questo bel dibattito che Key4biz ha avuto il pregio di organizzare.
Ma l’EBU ci ricorda anche un altro elemento, quel “Return on Society” che in questi anni ci siamo un bel po’ dimenticati.
La Rai ha raccontato e costruito l’identità culturale e sociale del nostro Paese, oggi occorre fortemente riannodare quei fili.
E’ necessario a mio avviso un profondo rinnovamento editoriale, rafforzando la centralità della generazione dei contenuti, sviluppando in offerta editoriale di alta qualità e rafforzando le caratteristiche di servizi pubblico, e occorrerà un grande sforzo per completare la trasformazione da broadcaster a media company.
La Rai deve essere a capo di una vera e propria cavalcata verso la digitalizzazione del Paese e deve rappresentare un traino fortissimo.
La diffusione di internet, nonostante la costante crescita nel 2015, ha raggiunto solo il 70% della popolazione italiana per 41,5 milioni di persone che possono accedere al web da qualsiasi luogo o dispositivo.
Questo risultato pone l’Italia agli ultimi posti in Europa.
La Rai, la più grande azienda culturale italiana, non può non essere il traino più potente del nostro paese per la crescita digitale di tutta la popolazione.
Infine occorre recuperare tutte le fasce della popolazione.
Ad oggi la fascia 8-34 anni non frequenta per niente la Rai.
Se chiedo a mia figlia diciassettenne cosa è la Rai, mi risponde che la guardano “i vecchi”. Ecco, un servizio pubblico universale non può permettersi di non parlare a questa fascia di età della popolazione.
La Rai del futuro, quindi, dovrà fare “cultura”, ma rendendola accessibile a tutti e senza rinchiuderla in qualche riserva indiana e senza dimenticarsi di parlare a tutta la popolazione.
Molto si sta facendo, molto c’è ancora da fare, ma con una maggiore consapevolezza del ruolo del servizio pubblico credo si potrà fare un lavoro importante.
La mi promessa, grazie anche a questo dibattito e a tutti i contributi che lo hanno arricchito, è che vigilerò perché le belle idee che sono state prodotte possano prendere corpo e consistenza.
Per un servizio pubblico migliore e innovativo.
key4biz