Elio Germano: «Io un antidivo? Sono tutto e il contrario di tutto»

Elio Germano: «Io un antidivo? Sono tutto e il contrario di tutto»

«Io un antidivo? Non so cosa significhi e non sopporto le definizioni: come dice Pirandello, lo sono davvero o è quello che credono gli altri? Cerco di vivere la vita, più che la forma, siamo tutto e il contrario di tutto». E in effetti, Elio Germano è uno, nessuno e centomila nelle sue molteplici trasformazioni attoriali: da Giacomo Leopardi a Nino Manfredi, fino al recente Ligabue nel film «Volevo nascondermi» con cui, premiato alla Berlinale nel 2020, è ora tra i favoriti come migliore attore ai David di Donatello.

«È stato un viaggio affascinante con un personaggio che mi ha insegnato molte cose – spiega l’attore – Importante dal punto di vista professionale interpretare Ligabue, perché è al limite del consueto e ho avuto la possibilità, sul piano espressivo, di lasciarmi andare in territori non naturalistici, lavorando molto con il corpo, in maniera diversa dal solito. Inoltre, dal punto di vista intellettuale, mi ha fatto conoscere non solo un’incredibile vicenda umana, ma scoprire una particolare realtà artistica».

Intanto si prepara a tornare in palcoscenico, a metà ottobre alla Pergola di Firenze, protagonista e regista dello spettacolo «Così è (o mi pare)». Una parafrasi del titolo originale proprio dell’opera pirandelliana («Così è (se vi pare)»). Di che si tratta?
«È una via di mezzo fra teatro e cinema, un terzo linguaggio traslato nella realtà virtuale, che nasce da un’esperienza precedente, lo spettacolo Segnale d’allarme, che abbiamo portato in tournée durante il lockdown. Lo spettatore non viene più lasciato in poltrona ma, indossando un casco-visore e delle cuffie, viene portato al centro della scena, dove i fatti avvengono intorno a lui e con lui. Non si limita ad assistere, viene coinvolto in una sorta di film-teatro sferico: solo quando tutti gli spettatori indossano i visori, parte la rappresentazione. L’evento può avvenire sia in una sala cinematografica, sia teatrale: strizza l’occhio a entrambe, utilizzando una grammatica diversa».

Perché proprio quel testo di Pirandello?
«È una riflessione sul reale e il virtuale, sulla vita e la forma, il trionfo dell’impossibilità di conoscere la verità assoluta. La vicenda pirandelliana si svolge nel salotto borghese di casa Laudisi, dove ogni personaggio racconta versioni diverse di una stessa storia: non si sa chi siano veramente il signor Ponza, la signora Frola e la signora Ponza. Alla trama, ho aggiunto un personaggio che non c’è nel copione originale: il vecchio Commendator Laudisi, interpretato da Pippo Di Marca, padre di Lamberto che è impersonato da me. Egli è costretto su una sedia a rotelle e rappresenta l’osservatore, ossia proprio lo spettatore che entra nelle dimensione scenica, spiando lo sviluppo degli eventi. Oggi, spiare gli altri è diventato uno sport collettivo».

In che senso?
«Grazie ai social, ai nuovi media, ci trasformiamo per compiacere l’immaginario altrui: un’attitudine contenuta nel concetto del like. Veniamo anche sommersi da fake news, che alimentano i nostri dubbi: siamo certi di essere noi stessi o siamo quello che vedono gli altri?».

Insomma, un progetto insolito, fortemente voluto dal neodirettore della Pergola, Stefano Accorsi.
«Amo misurarmi con progetti complessi, sin da quando adolescente ho iniziato ad appassionarmi a questo lavoro: provavo il piacere amatoriale di salire su un palco per provare emozioni. Non avevo l’idea di fare l’attore come traguardo, ma solo come piacere di farlo e non ho frequentato scuole di recitazione, ho imparato il mestiere facendolo. Tuttavia, tramutare il piacere di fare una cosa in un mestiere, a volte provoca delle frustrazioni».

Ovvero?
«Si entra in certi meccanismi, che comportano dei compromessi, per esempio si finisce in mano a persone che pensano più alla vendibilità di un prodotto, quindi agli incassi, piuttosto che alla qualità. La soddisfazione maggiore l’ho provata nel partecipare a film visti da poche persone: il paradosso è che meno soldi ci sono a disposizione, più è forte l’amore per la sincerità».

Gli incassi, per cinema e teatri, sono stati latitanti. Ma oggi avviene la riapertura.
«Tenere le sale chiuse è quasi criminale, conosco persone che hanno dovuto cambiare lavoro e dei danni che ne scaturiranno ce ne accorgeremo più in là. Finalmente, con le dovute cautele, vengono riaperte e sono luoghi sicuri, molto più dei ristoranti dove la mascherina te la devi togliere. Far ripartire le attività è una grande occasione anche per chi è stufo di stare a casa. Ci guadagneremo tutti in salute mentale e in crescita collettiva».

Emilia Costantini, Corriere.it

Torna in alto