Le frasi provocatorie non piacciono a parte della platea. Che lo fischia e contesta
«Il problema ultimamente è che tutti vogliono essere consolatori, tutti vogliono gratificare, tutto è fatto per il pubblico, per il pubblico, per il pubblico e infatti vi stanno a fare un culo così.
Avete capito qual è il gioco? Voi siete diventati protagonisti di questo gioco dello spettacolo italiano». Apriti cielo. Arriva finalmente una voce fuori dal coro a dire al pubblico di non essere un gregge e tutti si risentono. Chi gira la sedia in segno di protesta e chi gli urla cafone. Ma Riccardo Scamarcio, che l’altro giorno ha ricevuto il premio Gassman al Bi&Fest di Bari, è uomo di spettacolo e conosce naturalmente i meccanismi della comunicazione per cui la sua provocazione colpisce nel segno perché c’è chi lo contesta e chi lo abbraccia. Ma è un discorso di responsabilità il suo, lontanissimo da uno sterile épater le bourgeois. E si fonda su esperienze personali, anche scottanti. Perché se è vero che l’attore pugliese porta sulla sua pelle il pregiudizio – quasi una stigmate – di aver interpretato appena venticinquenne nel 2004 Tre metri sopra il cielo di Luca Lucini dal bestseller di Federico Moccia, è altrettanto vero che il suo è uno dei percorsi attoriali più interessanti del nostro cinema.
Anche perché si è messo in gioco da produttore oltre che da interprete. Ed è sicuramente l’insuccesso di un film importante, estremo e radicale come Pericle il nero di Stefano Mordini dello scorso anno, per il quale ha ricevuto il premio al festival barese, ad aver scatenato in lui questa riflessione provocatoria sul pubblico. Insomma tutti stanno lì ad ascoltare l’attore ma poi non si prendono la responsabilità di andare a vedere un film in cui lui è protagonista.
«Perché – ha proseguito – quando uno mette in scena uno spettacolo il problema poi è il pubblico, capito? E voi rompete il c…, scusatemi… Perché voi volete interagire con lo spettacolo, volete applaudire, ma che vi applaudite? E’ una vostra esigenza quella di partecipare, lo capisco questo; e invece no dovete starvi zitti anzi, come diceva Carmelo Bene, pagate il biglietto e non lo vedete lo spettacolo». Naturalmente una volta che viene citato Bene c’è subito chi dice che Scamarcio non è Bene. Ma non è questo il punto, perché a non essere cambiato è il ruolo che dovrebbe avere l’attore. Scamarcio si scaglia contro il concetto di paternalismo che porta a trattare il pubblico come dei bambini. E invece – dice Scamarcio – «uno spettacolo può dirsi tale solo se vi sorprende». Mentre – aggiunge – «c’è una forma di accondiscendenza, di spettacolo consolatorio, che vuole mettere il pubblico al centro. E no! A ognuno il proprio mestiere». Perché bisognerebbe scandalizzare il pubblico, nel vero senso della parola. E Scamarcio ci va vicino: «Basta dare ragione al pubblico, il pubblico ha torto». E poi cita il Volontè del capolavoro Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto: «Il popolo è minorenne, la città è malata». E partono i fischi: «Ecco i fischi, i fischi, finalmente fischiate. E chissenefrega».
Il Giornale