Il regista, suo mentore in Rai: “Cercavo un volto giovane e lui era così bravo con i bambini. Poi me lo tenni stretto…”
È stato lui a portarlo nell’Olimpo dei conduttori televisivi. Prima affidandogli la sua creazione più famosa, I fatti Vostri, dal giorno del debutto, il 3 dicembre del 1990.
Poi con lo show di successo Scommettiamo che…? Al suo fianco, nelle prime edizioni, Milly Carlucci e poi Afef. Insomma Michele Guardì, noto regista e autore di importanti programmi Rai, è stato quasi un papà per Fabrizio Frizzi. Oltre che un mentore e un amico. Nel giorno della sua comparsa lo vuole ricordare soprattutto per l’esempio che ha dato come professionista, padre, marito. «Nel mio cuore rimangono la sua dolcezza, la sua simpatia, la sua straordinaria generosità. L’artista lo conosciamo tutti, sappiamo chi è e chi è stato. L’uomo simpatico lo conosciamo tutti perché quello è stato il suo distintivo. Ma di lui voglio ricordare la generosità umana».
Michele, come ha scoperto Fabrizio?
«Cercavo un conduttore per Europa Europa, lo show – era il 1988 – con cui facevamo conoscere il nostro continente agli italiani. Ci voleva un volto giovane e guardando la tv dei ragazzi vidi un presentatore sorridente che parlava con molta naturalezza e simpatia. Ho pensato che se riusciva a rapportarsi così con i bambini, tanto più lo poteva fare con gli adulti. Lo chiamai, lui modesto mi rispose che non pensava di essere all’altezza. Io gli risposi che lo pensavo io. Poi partì il programma e si dimostrò bravissimo. Con Elisabetta Gardini reggeva perfettamente la prima serata».
E dunque poi se lo è tenuto ben stretto…
«Certo. Quando Raidue mi chiese di realizzare un programma mattutino quotidiano e io inventai I fatti vostri, glielo offrii immediatamente. Era fatto apposta per lui. Perché aveva una grande capacità di entrare in empatia con le persone, le sue interviste erano sempre intense».
Si interessava anche in prima persona.
«Ricordo che in una puntata dei Fatti vostri si commosse ascoltando il racconto di un padre che aveva un figlio malato di leucemia. Era morto perché non gli era stato possibile accedere ai donatori di midollo osseo, perché allora l’Italia non rientrava nel protocollo europeo, e il papà auspicava la nascita di un’associazione. Poi nacque l’Admo, Fabrizio si iscrisse e quando c’è stato bisogno del suo midollo osseo si è presentato e l’ha donato».
Si spendeva anche per Telethon, il progetto di raccolta fondi per la ricerca scientifica sulle malattie genetiche.
«Quando finiva la maratona era distrutto dalla fatica fisica e psicologica, come se avesse fatto una vera maratona. Parlava con le persone malate e partecipava con grande coinvolgimento alle loro difficoltà».
Ma vi frequentavate anche nel privato?
«Sì, certo. E devo dire che non c’era differenza tra il Frizzi televisivo e quello fuori dagli schermi. Lui era così, simpatico, conviviale, gioviale, sempre pronto alla battuta, sempre con la voglia di tirar su il morale. Mi ricordo di pranzi e cene memorabili. Si metteva a capotavola e cominciava a dir battute. Anche con parrucchieri, truccatori e tutto il personale dietro le quinte dei programmi era sempre gentile, arrivava con il caffè, scherzava con tutti». Però non era solo un angelo, quando c’era da arrabbiarsi si infuriava pure lui, e si offendeva anche, come quando l’allora direttore generale Celli disse che si vergognava di un programma condotto da lui. «Sì, ma state sicuri che si è arrabbiato molto meno di chiunque altro del mondo televisivo».
Laura Rio, Ilgiornale.it