(di Tiziano Rapanà) Non è tempo di ragionatori folli e dunque accantoniamo tutte le ideuzze che fanno del talk una sorta di teatro-spettacolo, più circense che televisivo. Chi la spara più grossa vince? Non è così, il pubblico non è scemo: non abbocca alle pinzillacchere ispirate dall’esigenza dello stapuntino di share, nell’eterna lotta dell’ascolto. Serve serietà, vocazione all’informazione che detesta i supporter politicizzati e le tracotanze della peggiore gauche caviar. Esistono programmi che puntano il loro agire sulla cronaca, sul racconto dell’attualità più cruda e legata al patire (perpetuo?) del cittadino. Ore 14 di Milo Infante (Rai 2, nel pomeriggio dei giorni feriali) è il capitello dell’ideale disegno tecnico del servizio pubblico disegnato dalla Rai: ossia vicinanza al cittadino, sguardo popolare ai problemi, ritrosia allo scoop e al tutto fa brodo pur di portare la notizia. Non ci sono fuochi d’artificio scenici e parolai, qui niente è esclusivo, si sgobba silenziosamente per portare avanti la struttura della trasmissione. I temi riguardano la vita di tutti noi: dalla pericolosa retromarcia in tangenziale a Napoli ai fatti più noti di cronaca nera. Ospiti in studio, in collegamento, inviati dislocati nei luoghi della tragedia… non ci sono innovazioni nella formula del talk, tutto si muove nella più rispettosa deontologia professionale: non è tempo di sperimentalismo, ma di spazio all’informazione. Milo Infante è misurato negli interventi. Il pubblico lo premia, con ottimi ascolti (venerdì, il programma ha superato il 7% di share). La gente non è cretina, sa riconoscere l’informazione di qualità che è arcinemica della protervia dei tessitori del pensiero schematico.