Il suo cognome è Franklin Saint ma santo non lo è affatto. Sono state le circostanze a trasformare il dolce protagonista di Snowfall in un boss della droga. Ora la sua storia torna in televisione (su Fox dal 26 agosto alle 21) con la seconda stagione della serie tv che racconta la nascita dell’epidemia di crack, nella Los Angeles degli anni Ottanta. John Singleton, il regista afroamericano candidato all’Oscar con Boyz ‘N the Hood, continua dunque il suo racconto della “democratizzazione” degli oppiacei avvenuta allora, quando i narcotrafficanti iniziavano a rivolgere la loro attenzione non solo alle élites ricche ma anche ai quartieri poveri, dove potevano trovare clienti meno facoltosi ma molto più numerosi. E’ in quei quartieri che i ragazzi svegli trovano maniera di dare una svolta alla loro vita: “Franklin inizia a spacciare per aiutare la famiglia, per aiutare sua madre in gravi difficoltà economiche – spiega Damson Idris, l’attore britannico che interpreta Franklin – inizia per una ragione quasi nobile, solo che è un ragazzo molto intelligente, come tanti ce ne sono nei quartieri più degradati della città, dove lo stato non c’è e non aiuta e dove, di conseguenza, la tua intelligenza non viene canalizzata. Franklin potrebbe diventare il presidente di una multinazionale se gli fossero dati i mezzi per farlo, invece la sua capacità intellettuale lo porta ad avere successo in quello che fa: vendere il crack”. Singleton li ha visti questi ragazzi sulla strada, quando cresceva, in quella Los Angeles che racconta da sempre: “Non credo sarei diventato un filmmaker se quel mondo non fosse stato così. – dice il regista – L’arrivo del crack a Los Angeles è ciò che ha cambiato la città – o almeno alcuni dei suoi quartieri – ed è ciò che io racconto nelle mie storie, non ci sarebbe stato Boyz ‘N the Hood senza quel mondo”. Singleton non giustifica ma spiega: “Quando sei giovane e ti viene data l’opportunità di fare soldi in maniera facile e veloce, difficilmente riesci a dire di no. Tu non pensi alle conseguenze, anche se è un mondo pericoloso, ti prendi il rischio, perché non hai mai avuto niente e ora finalmente hai la possibilità non solo di mangiare e campare decentemente, ma di avere una vita agiata. Non è il mio compito di regista giudicare, anzi. Io c’ero dentro in quel mondo e lo racconto per come era, racconto il suo volto, anche umano”. In certi quartieri della periferia degradata del mondo spesso non c’è scelta: o sei fra coloro che consumano droga e butti via la tua vita, o sei fra chi la droga la vende e butti via la tua anima. Oggi, negli Stati Uniti un’emergenza simile è di nuovo in atto, questa volta ha a che fare con l’eroina. In alcune aree del paese le morti causate da oppiodi sono raddoppiate in soli tre anni, e da dieci anni a questa parte l’importazione di eroina dal Messico in territorio statunitense ha subito un incremento del 600%. Lo scorso gennaio il Presidente Trump aveva firmato un progetto di legge che assegnava 9 milioni di dollari agli stati di confine per rinforzare le misure atte a combattere l’entrata illegale di oppioidi in territorio americano e lo scorso maggio, durante un discorso in Pennsylvania, aveva ipotizzato la possibilità di estendere la pena di morte agli spacciatori. “Non è con certe misure draconiane che si combatte un fenomeno che è dovuto al degrado delle periferie – dice Singleton – ci vorrebbe, semplicemente, più giustizia sociale ma epidemia dopo epidemia, il mondo non sembra in grado di imparare la lezione”.